Regia di Abbas Kiarostami vedi scheda film
Un capolavoro. Un film bellissimo, denso di poesia ma al tempo stesso ancorato ad un tellurico realismo, che sa fotografare miseria e quotidianità; un'opera di un'incredibile bellezza figurativa eppure ben lungi da ogni estetismo. E' anche un film mistico, con un misticismo nato dal fango e dal vento, dalla parola e dal silenzio, dall'oscurità e dalla livida luce filtrata dalla pioggia. Atemporale eppure concretissimo. Un bambino deve riportare un quaderno ad un compagno di scuola. Dovrà affrontare un labirinto kafkiano fatto di circolarità e di ritorni, di punti morti e di negazioni, soverchiato da una Legge inflessibile ed immutabile: rigida tradizione familiare di stampo coranico ma anche -ampliando lo sguardo- una società paralizzata da un decennio di totalitarismo teocratico. Il viaggio del bambino diventa così bisogno comunicativo in un contesto di formalismi e di profonda solitudine, gesto di libertà gravato da un'eterno presente che lo rinchiude, quasi a soffocarlo. Ma è anche -ad un livello ancora ulteriore- ricerca del divino oltre il precetto, spiritualità come espressione di libertà anzichè di appartenenza. Come Kiarostami sia riuscito a trarre da una trama così semplice un film così stratificato, così denso di significati e di simboli, senza alcuna divagazione nell'astrattismo, ha dello straordinario. Ancor più straordinario è il modo in cui il film riesce a trasmettere la sua ricchezza: tramite un linguaggio che supera la dimensione razionale fino a divenire pura voce spirituale. Linguaggio che trascende continuamente la forma. Tensione mistica, appunto. Quest'opera non è soltanto una grande lezione di cinema, è anche grande letteratura. Indimenticabile.
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