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Santa sangre

Regia di Alejandro Jodorowsky vedi scheda film

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La recensione su Santa sangre

di Kurtisonic
5 stelle

Sedici anni dopo aver dato alla luce il discusso capolavoro La montagna sacra, Jodorowsky ritorna al cinema con Santa Sangre, in un lasso di tempo così corposo che il poliedrico regista ha dedicato a progetti incompleti o falliti (dall’inedito Tusk alla mancata regia di Dune affidata a Lynch)e soprattutto ad altre espressioni artistiche in linea con la sua spiccata creatività. Fumetto, letteratura, teatro, tarocchi, esoterismo, che se vogliamo condensare nel suo ritorno in scena, confermano le sue doti peculiari di un’alchimia immaginaria ad alta gradazione. I biografi accreditati indicano fino al compimento di La montagna sacra, terzo lungometraggio del regista, come il vertice della sua volontà realizzatrice a cui è seguito un tentativo di sfruttamento delle qualità e del richiamo quale oggetto di culto che ha ingenerato presso una discreta parte di pubblico, mentre la rimanente non ha risparmiato perplessità e polemiche. Se La montagna sacra conteneva una visione di un sistema mistico  ideologico che si adattava perfettamente alla critica dei valori facendone esplodere i punti focali, Santa sangre che pure si allinea ai dettami del suo tempo, avvitato sulla condizione individuale deprivata da qualsiasi possibilità di analizzarsi liberamente, è un film immerso in un universo simbolico teso all’alienazione e all’isolamento piuttosto che al sovvertimento morale e collettivo. Altro grande snodo mancante è quel punto di vista ironico e beffardo che permetteva la lettura del cinema del regista cileno con la necessaria distanza per calibrarne messaggi e indottrinamenti. Che poi, Santa sangre contenga un numero elevato di scene forti dall’impatto devastante e a suo modo indimenticabili, fa ulteriormente rimpiangere quella che appare come una storia dai contorni facilmente comprensibili a fronte di un’esibizione linguistica dirompente ma sostanzialmente sterile. Uno stile per altri versi che unendo melodramma, horror, elucubrazioni intellettuali, è stato preso ad esempio da alcuni cineasti che hanno dato vita ad una estetica dell’esagerazione con risultati non sempre apprezzabili e sicuramente lontani dalla concettualità di Jodorowsky. Il protagonista del film,Fenix, nato e cresciuto in un circo, è succube della madre a sua volta devota di una giovane martire senza braccia idolatrata come una divinità. L’individuazione di caratteri simbolici che permettono a Fenix di ricostruire un suo mondo interiore e d esteriore appare fin troppo carico di elementi allusivi, più portati alla reazione istintiva dello spettatore che per  costruire un articolato intreccio metalinguistico. Il binomio morte e richiamo sessuale non sembrano più in grado di aprire le porte della conoscenza, il cosiddetto viaggio iniziatico è limitato ad un guardarsi addosso cui rispondere con una ribellione abbastanza isterica. La nudità dei corpi diventa solo più funzionale alla convenzione filmica, che invece  far parte di una spogliazione sovrastrutturale della persona. Spettacolare magari, ma abbastanza superficiale, sequenze come quella del funerale dell’elefante malato del circo, carica di elementi che rimandano alla visceralità umana, a culture ancestrali e sepolte, a ritualità che evocano una religiosità neopagana della terra, appaiono più come casualità, priva di quell’organizzazione visiva che l’autore in precedenza  sapeva collegare magari discutibilmente ma con indubbia lucidità. La trasgressione diventa un po’ calcolata, sembra offrirsi ad un surrealismo decorativo confezionato per l’occasione in cui basta forzare un simbolo dietro l’altro. Il volo dell’aquila, il tatuaggio sul petto del protagonista, il conflitto edipico, e naturalmente sangue a volontà, un bravo psicanalista ne avrebbe da dire in merito.

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