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I racconti della luna pallida d'agosto

Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film

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La recensione su I racconti della luna pallida d'agosto

di Peppe Comune
10 stelle

Nel Giappone devastato dalla guerra civile verso la fine del sedicesimo secolo, i fratelli Genjuro e Tobei (Masayuki Mori e Eitarô Ozawa) si allontanano dalle loro mogli (Mitsuko Mito e Kinuyo Tanaka) per realizzare i prori sogni: il primo è un vasaio che vuole arricchirsi accrescendo il suo commercio; il secondo vuole diventare un samurai. La rincorsa ostinata alle loro ambizioni però metterà in pericolo la vita delle loro famiglie.

 

scena

I racconti della luna pallida d'agosto (1953): scena

 

"I racconti della luna pallida d'agosto" ( liberamente tratto da due racconti fantastici di Akinaru Ueda raccolti nell'opera Ugestu Monogatari) è un film straordinario che a quasi sessant'anni dalla sua uscita mantiene intatto il suo fascino espressivo. Retto da una fotografia superlativa (di Kazuo Miyagawa), dove tutto sembra avvolto in un perenne onirismo, presenta un percorso narrativo assolutamente unico che, mischiando con soave fluidità il reale col fantastico  e intrecciando con sapiente equilibrio iconografico i destini dei quattro protagonisti, arriva ad una forma espositiva che sgorga ancora modernità. É un film sull'egoismo umano che quando deroga da scelte facili può farsi foriero di un funesto avvenire. Sulla preferibilità delle scelte improntate alla rassegnazione di quello che già si ha, gli affetti, la terra, la solidità del proprio lavoro. Soprattutto, è un film sulla centralità della figura femminile che, moglie,  incantatrice, maga o prostituta che sia, mantiene una saldezza di valori che l'uomo va dissipando col procedere della storia. Nella poetica di Mizoguchi la donna ha sempre ricoperto un ruolo centrale, la chiave per decodificare la contraddittorietà dell'animo umano. In questo capolavoro la donna è l'elemento che tende ad unire ciò che l'uomo vuole rendere precario, è l'anima raziocinante che soccombe sotto i colpi della bramosia del successo, è la vittima sacrificale degli orrori delle guerre volute dagli uomini. Solo alla fine, quando Genjuro e Tobei hanno assaggiato il succo amaro del loro successo, agognano ritornare alla loro rispettive dimensioni familiari. Ritornare all'origine delle proprie prerogative di uomini e mariti dove il reale è reale e i sogni sono sogni. Capolavoro senza tempo.   

 

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