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L'angelo del male

Regia di Jean Renoir vedi scheda film

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La recensione su L'angelo del male

di joseba
10 stelle

Jacques Lantier (figlio di Auguste Lantier e Gervaise, della famiglia dei Rougon-Macquart) è uno scrupoloso macchinista ferroviario sulla tratta Parigi-Le Havre. Un giorno, a causa del surriscaldamento di un cilindro della locomotiva, è costretto a trascorrere il turno di riposo a Le Havre e ne approfitta per andare a Bréauté a trovare la madrina malata. Qui incontra anche la bella scontrosa Flore, baciando la quale è preda di un raptus che lo porta al quasi soffocamento della giovane: il suo sangue ha ereditato la tara dell'alcolismo che lo tormenta con tremende emicranie, spaventosi accessi di tristezza e furibondi attacchi di collera. Inutile soffermarsi sugli innumerevoli meriti cinematografici (secchezza documentaristica, ritmo implacabile, recitazione infallibile) di una pellicola che a giusto titolo rientra tra i capolavori indiscussi della Settima Arte. Meglio invece concentrarsi sugli aspetti "protonoir" condensati nell'adattamento realizzato da Jean Renoir de "La Bête humaine", diciassettesimo libro della serie Rougon-Macquart di Émile Zola. Già perché, al di là degli aspetti legati alla concezione del naturalismo dello scrittore francese, "L'angelo del male" può a tutti gli effetti essere considerato un incunabolo del noir. Se infatti lo sfondo rigorosamente determinista in cui si colloca la vicenda (la tabe ereditaria come portato biologico, l'estrazione proletaria come condizionamento sociale, il contesto che cospira armoniosamente alla repressione dell'individuo) deriva esplicitamente dall'opera di Zola (con tanto di didascalia iniziale che lo dice a chiare lettere), la dinamica narrativa squaderna elementi noir di profetica purezza. Come non vedere nella figura di Séverine (una Simone Simon di ineffabile rapacità) il prototipo della dark lady che distilla desiderio e maleficio? Come non ravvisare nel personaggio di Lantier (un Jean Gabin di vulnerata durezza) il precursore di tutti gli uomini inconsapevolmente soggiogati dalla femme fatale di turno? Come non cogliere nell'ineluttabile morsa della colpa che stritola i due amanti il destino cinico e baro così tipico del noir? Ma c'è di più. Oltre a questi tratti drammatici, ne "L'angelo del male" si trova l'identificazione tra tentazione amorosa e progetto criminale (portata allo zenit sei anni dopo da "Vertigine" di Otto Preminger) e, soprattutto, la definizione di soggetti incontrollabilmente dominati dalle passioni: tutti i personaggi, anche quelli secondari, sono agiti da spinte pulsionali che li sovrastano e li obbligano a commettere gesti di cui dovranno pentirsi amaramente. E' questo l'autentico nucleo protonoir de "La Bête humaine", un nocciolo tragico che, variamente manipolato, offrirà al nascituro genere la possibilità di mettere in scena quella perdita del centro e quella inconfessata tendenza all'autodistruzione che costituisce il tratto alienante della modernità. Un'uscita da sé e dalla propria pseudorazionalità che non può che condurre alla maturazione di propositi più o meno larvatamente suicidi. Cupio dissolvi. E finalmente sorridere.

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