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L'amore necessario

Regia di Fabio Carpi vedi scheda film

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La recensione su L'amore necessario

di OGM
5 stelle

La necessità non è quella che crediamo noi: non si identifica con ciò che non può altro che essere. È, invece, ciò che noi pretendiamo che sia, a tutti i costi,  anche se non è. Anche se non è quello che davvero desideriamo, anche se non ci piace, e se non siamo sicuri di poterlo accettare. L’amore può vivere solo di questo: di un obbligo inventato, a cui si decide di credere, benché sia al di sopra delle possibilità umane. Ernesto e Valentina portano avanti questo assurdo gioco ormai da tanti anni. La loro unione deve essere indissolubile, resistente alle distrazioni, ai tradimenti, a quei diversivi che entrambi ambiscono a procurarsi un po’ per diletto, un po’ per sfida. Stanno insieme, per condividere questo vertiginoso gusto del pericolo, un camminare sul filo che mette continuamente a rischio il loro legame. Si dedicano a questo svago durante l’estate, approfittando della villeggiatura della madre di lui: la accompagnano nell’albergo termale di una zona montana, dove trovano sempre pane per i loro denti. Questa volta le vittime designate sono due giovani sposi, Giacomo e Diana, che facilmente cadranno nel tranello.  La seduzione segue strade contorte e magari inverosimili: Fabio Carpi non teme di portare questa tesi alle estreme conseguenze, accorciando i tempi, ignorando il buon senso, dimenticando la tormentata gradualità che caratterizza la genesi delle passioni. Il paradosso può risultare urtante, frutto immaturo di una volontà provocatoria che cavalca la trasgressione in ritardo sui tempi: la rivoluzione dei costumi appartiene ormai al passato, e non è certo di libertà sessuale che questo film potrebbe parlarci. L’argomento, d’altronde, appare inquadrato nella sfera strettamente individuale, appartiene all’ambito della fantasia amorosa che sfora nella follia, e da questa trae il brivido che mantiene vivo un rapporto. In questo caso, la perversione coincide con una sofisticata forma di scambismo, che cattura le sue prede con l’inganno, estorcendo il loro consenso con subdole tecniche di persuasione. L’ingegnosità della macchinazione non è però sufficiente a produrre l’atteso fascino, anche perché non è sostenuta da un’adeguata elaborazione psicologica. Il mistero risiede, più che altro, nell’inspiegabilità di un’evoluzione che fa precipitare gli eventi senza una convincente ragione. Tutto accade, incredibilmente, secondo i piani, e, per di più, senza provocare grandi conseguenze. Viene naturale chiedesi come  e perché, ma la domanda non risulta poi molto intrigante. Sono troppo pochi gli spunti offerti da questo film che, nel perseguire l’intensità narrativa,   non riesce a giovarsi dell’accelerazione del ritmo, del salto dei passaggi logici, dei dialoghi condensati ed essenziali. Il magnetismo di Ben Kingsley è l’unico elemento di solidità in un racconto reticente ed annacquato,  nel quale anche le emozioni si perdono, disorientate da una eccessiva variabilità degli umori e da una surreale malleabilità delle coscienze.   

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