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La doppia vita di Veronica

Regia di Krzysztof Kieslowski vedi scheda film

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giuseppedimarco94

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La recensione su La doppia vita di Veronica

di giuseppedimarco94
10 stelle

Lo spazio filmico di quest'opera è impressionante. Il dramma, esteriorizzato nei tempi morti della narrazione, danno continuamente l'idea dello svolgimento interiore della tragedia. Per questo Kubrick ammirava Kieslowskij, e cioè per la sua capacità di osservare un mondo di gesti, in un tempo che l'autore dell'azione non percepisce. Non un punto di vista metafisico, ma dell'uomo verso l'uomo. Dell'uomo che ricerca il senso in ciò che vede e che lo colpisce.
La regia segue i personaggi nella loro stessa ricerca, nell'attuazione del dramma, e non nell'agnizione per gradi, ma nella ripresa del dramma che convive con l'esistenza, si attualizza in ogni scena, ma non viene a patti con la facoltà logica del personaggio,e quindi neanche con la nostra. Il senso non ci viene dato, ma è la composizione dell'atto attraverso le chiavi di lettura disseminate nella ripresa e di cui il regista sembra essere molto goloso.
L'introiezione e l'apparente incomunicabilità delle tensioni emotive fanno del tempo filmico un flusso irreale, sordo a qualsiasi eteronomia di carattere storico, sociale, e persino personale. E inficia sulla concezione filosofica dell'atto drammatico, sulla solitudine del malessere-benessere esistenziale, ma non sulla sua irripetibilità. Kieslowskij ci parla dell'uomo, ma ci dice che il campo dove si combatte non è sociale. Non sussiste critica alcuna al mondo ma piuttosto la rappresentazione della bellezza, della volontà, della libertà come intuizioni o atti. E la grandezza di certe immagini o fotografie forse suggerisce che il cinema di questo regista sta nel singolo enunciato, non nella composizione e  relativizzazione delle parti, che sembrano non aggiungere senso, ma reiterarsi.
Nella fattispecie le chiavi di lettura sono date dalle riprese di mondi rappresentati, di oggetti che mediano la percezione del mondo, di realtà alternative, del sogno che si giustappone alla realtà, della ricerca in quanto tale, non giustificata, ma assolutizzata, come attestazione e non spiegazione della natura umana.
Ci sono inquadrature e sequenze memorabili: la V. polacca che quasi si libra in volo mentre canta in prova, e spezza il laccio a cui si è avviluppata col dito, la fotografia della anziana che passa con la spesa, la V. francese che simula l'eletrocardiogramma col laccio, per poi rappresentare la vita e la morte attraverso un rimando completamente diverso (la tensione e il raggrinzirsi). O la prima immagine, della bellezza ultraterrena di Irene Jacob sotto la pioggia, in unione alla natura, a cui tornerà, dopo aver "trasumanato" l'esperienza del suo corpo.
Nelle ultime scene, forse si cede al vezzo della spiegazione e del riepilogo, ma molto bella anche la scena della domanda sulla vita e la ricerca nella borsa.

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