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La doppia vita di Veronica

Regia di Krzysztof Kieslowski vedi scheda film

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La recensione su La doppia vita di Veronica

di Aquilant
8 stelle

La macchina da presa è puntata sulla figura della ragazza che corre in direzione del pullman in partenza, noncurante dei tumulti della folla. Una carrellata circolare fa ruotare lo sfondo tutt’intorno a lei ricreando il senso di vertigine provato nell’osservare l’altra sé stessa intenta a fotografarla. Vite parallele che si congiungono idealmente tramite banali scatti fotografici che creano in Weronika un vortice visivo determinato dalla percezione di un mistero impalpabile, aleatorio, quasi una sorta di misteriosa violenza effettuata nell’ambito di una dinamica spazio-temporale. Misteriose consonanze, echi comuni di vite legate tra loro da misteriosi fili che uniscono e dissolvono, sensazioni sotterranee di vuoti incolmabili vissuti come momenti improvvisi di avvolgente malinconia. Ed infine mani appoggiate sulla corteccia degli alberi per compenetrare le misteriose vibrazioni della natura e rintracciare nel contempo quel filo ormai reciso di un’analoga esistenza di cui rimane solamente una labile traccia sulla superficie di un foglio sgualcito di carta sensibile.
La “doppia vita di Veronica” è da considerare come un inesaustibile inno alla vita ed alla capacità rigenerante dei tessuti vitali dopo un’esperienza di morte vissuta di riflesso tramite la scoperta dell’amore assoluto, impalpabile come l’atmosfera di cui è ammantata l’intera storia, inverosimile ed etereo allo stesso tempo e sublimato da strane corrispondenze che rimandano a sottili metafore kieslowskiane sempre in agguato. Amore che nasce da tumulti improvvisi dell’anima avvolti talora nel mistero più fitto, intenti a realizzarsi in misteriosi richiami sonori che sembrano rimandare a stazioni sfiorate dall’ombra del destino.
E se di fatto Kieslowski provoca la morte di Weronika al ventisettesimo minuto del film, come quella di Janet Leigh in “Psicho”, ecco Véronique pronta a rimpiazzarla: due facce simili di un diverso destino, due scelte discordanti di vita intraprese con un’illimitata fiducia nel potere totalizzante del libero arbitrio, due presenze magiche in totale sintonia con l’armonia del creato, unite dalla loro malformazione cardiaca e dalla comune passione per la musica, croce e delizia delle loro vite. E parallelamente alle due Veroniche vi sono due marionette simili tra loro: la prima palpitante di vita e l’altra riversa esamine sul tavolo, perché "una ballerina può sciuparsi e la sua gemella è indispensabile".
Kieslowski sceglie la dolcissima Irene Jakob come protagonista del suo primo film post Decalogo, (memorabile la scena in cui la ragazza alza gli occhi al cielo per ricevere su di sé le gocce di pioggia e nutrirsi della loro energia rivitalizzante) impregnato d’un aroma di magico candore ed insolitamente caratterizzato da una levità di toni, con la musica di Zbigniew Preisner che funge da protagonista assoluta, come sprigionata dalle stesse viscere della materia filmica, musica che riempie di sé l’intero andamento della storia. Attorno alla figura della protagonista viene modellato un mondo costituito della delicatezza del marzapane, della leggiadria di note musicali che levitano nell’aria, della delicatezza di baci elargiti con romantica passione, ma anche pieno di dolorose rinunce metaforicamente racchiuse nell’allegoria della ballerina che muore dopo un vano tentativo di spiccare il volo, rinascendo piena di vita e dotata di un paio d’ali, pronta a librarsi nel cielo infinito.
Il regista ammanta l’intera pellicola di calde tonalità dorate ad indicare gioia, armonia, equilibrio, scelta determinata dalla sua volontà di rendere adeguatamente il carattere di calda solarità della protagonista in palese armonia con la natura.









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