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Arca russa

Regia di Aleksandr Sokurov vedi scheda film

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La recensione su Arca russa

di scandoniano
10 stelle

 

Un misterioso visitatore, accompagnato da un improvvisato cicerone, un marchese francese, attraversa il palazzo d’inverno di San Pietroburgo.

 

Senza macchine del tempo, Alexander Sokurov riepiloga la storia della Russia, dal ‘700 ad oggi, attraverso l’esplorazione di uno dei simboli della cultura e della sua storia: il Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo. Un viaggio che si realizza nello spazio, dunque, ma che idealmente esperisce il tempo. La scelta, azzardata e clamorosa, di realizzare il film con unico piano sequenza (e per di più secondo quella che si potrebbe definire una soggettiva anonima) è un coerente tentativo di relegare altrove l’imperante dimensione spazio-temporale propria della cinematografia. L’idea di Sokurov è estrema e vincente. Il film è un esperimento, un esercizio stilistico valido ed accattivante, reso ancor più affascinante dal doppiatore del protagonista della versione italiana (Luigi La Monica), molto meglio rispetto alla voce originale (dello stesso Sokurov).

 

Una storia in cui di fatto non ci sono protagonisti, o quasi, non ci sono dialoghi, o quasi, ed in cui certamente non c’ è una trama. 96 minuti di steadycam digitale che si muove in un museo con un’unica inquadratura e il film funziona! Merito dell’idea di fondo. Arca russa non è solo un film molto tecnico. Ma è soprattutto figlio di un’idea profonda, sviluppata egregiamente, che conferma come il cinema del Vecchio Continente spesso sappia sperimentare a 360 gradi, al contrario di altre cinematografie dove conta quasi esclusivamente spettacolarizzare le storie per affabulare le masse.

 

Gran parte del fascino di Arca russa lo si deve alla figura del protagonista; soprattutto, e la sceneggiatura fin dall’inizio batte su questo tasto, sul suo stato di incoscienza (sta sognando? Ha una visione? È un insetto, e per questo invisibile?), un mistero continuo che coinvolge giocoforza anche lo spettatore, il quale in questo modo non sa cosa attendersi dal prosieguo, ma che intanto gioca con memoria e voyeurismo. Ma soprattutto tale figura non ha una definizione univoca, forse è talmente originale da non avere precedenti: incerto continuamente sulla sua propria natura, le parole del protagonista/narratore fanno combaciare insieme tutte e tre le categorie della parola filmica: ossia, rifacendosi alla classica distinzione di Michel Chion, la parola-teatro (concernente il dialogo), la parola-testo (del narratore extradiegetico) e addirittura la parola-emanazione (quella del volutamente incomprensibile). Questa epifania di cui ci rende partecipe Sokurov è difficilmente replicabile in futuro tale è la sua unicità.

Tutta questa freschezza di idee e di concetti, e tutta la forza che c’è nella coerenza con cui li si esprime, rende lo spazio ed il tempo della visione un’esperienza tra l’onirico e il mistico. Ed anche se i numerosi silenzi, con la macchina da presa che incede senza sapere (apparentemente) dove andare, potrebbero indurre lo spettatore a controllare quanti attori riescono a non guardare in camera (dato che basta un errore tecnico e si ricomincia daccapo!), la visione complessiva non è affatto inficiata. Splendidi i costumi, meravigliosa, ovviamente, la scenografia naturale.

 

Un film dalle emozioni raramente riscontrabili altrove. Uno dei capolavori moderni della settima arte: le sensazioni che il film sa donare per lunghi tratti sono quelle che auspicheresti alla persona più cara che hai al mondo.

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