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Il figlio

Regia di Luc Dardenne, Jean-Pierre Dardenne vedi scheda film

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La recensione su Il figlio

di lorenzodg
10 stelle

"Il figlio" (Le fils, 2002) è un film di Jean-Pierre e Luc Dardenne presentato in concorso alla 55 edizione del Festival di Cannes.
La storia è raccontata con tono dimesso e un 'pudore' che distanzia dallo schermo l'effeto dei corpi; l'immagine quasi sempre attaccata ai gesti dei personaggi diventa essa stessa scevra di ogni vile retorica e parsimoniosa di un contraltare crudo. Le inquadrature a spalla, per lo più mosse e schiarite da ogni malvezzo inverecondo, danno cadenze laceranti in un silenzio desertico. Ciascun movimento dei corpi (essenziali e mai casuali) rende esplicito allo spettatore il peregrinare interiore: occhi abbassati, ombre atterrite e animo che si mostra  con lucidi archè e implosioni assonnati. Il lavarsi delle mani, il togliersi degli occhiali, il sedersi, il mangiare un panino, il guidare dell'auto diventano arrivi massimali di un stantio modo di fare: e ciò che si dimena e spaventa il noi è il pensiero mai espresso ed il cuore mai imbattuto. Un padre non incontra il figlio (oramai gli è impossibile) e un figlio non incontra il padre
(è lontano da tutti).
Olivier (Olivier Gourmet) è un falegname che insegna il proprio mestiere a dei ragazzi usciti dal riformatorio con forti problemi sociali. Il suo lavoro è tutto per lui, meticoloso e preciso,  e il suo mondo appare ristretto e chiuso.
 Il cerchio della sua vita è vicino alle lenti dei suo occhiali e alla polvere del legno.
Ecco che un giorno si prospetta l'ipotesi di prendere un nuovo ragazzo: è Francis (Morgan Marinne), sedicenne che dopo cinque anni di riformatorio, viene indicato a Olivier da una assistente sociale.
Dopo un primo rifiuto l'uomo accetta di prenderlo con una telefonata: "Posso prendere il ragazzo nuovo" (20'). Un incontro con la moglie è abbastanza turbolento: dice di essere incinta mentre Olivier parla di Francis e degli anni di rieducazione. Viene fuori che il ragazzo è responsabile della morte del loro figlio avvenuta cinque anni prima. Una famiglia distrutta e lontana dagli affetti. Olivier manifesta la volontà di aiutare il ragazzo; la moglie non è d'accordo.
Francis si dimostra bravo ad apprendere il mestiere; si dimostra sveglio. Una sera si avvicina ad Olivier mentre sta mangiando un panino: "Vuoi le patatine?...". E poi gli dice: "E' strano. Le è bastato guardarmi per capire quanto ero alto", ricordandogli che aveva indovinato la sua statura (per consegliarli la sua tuta da lavoro). E poi mette alla prova Olivier per un paio di distanze (e l'uomo sbaglia pochissino).
"E' l'abitudine" gli aveva risposto prima.
Lo spettatore, in questa scena, manifesta un po' d'imbarazzo perchè sa già il pensiero di Olivier mentre Francis si dimostra sprovveduto e lontano da ciò che non percepisce in un ricordo distruttivo e spoglio da fantasie adolescenziali.
Un momento 'sacrale' e affatto accelerato: implosivo e fatuo, conflittuale e asettico. Un'immagine notturna chiosa la risposta di Olivier tra sguardi parallelli e apparenze infagate.
Prima di un secondo incontro con la moglie, avvengono due cose 'importanti': molto commisurate e assolutamente scolorite: torna a casa, si siede, guarda alla finestra, si mette sopra il letto (tutto in in tono minimo e con sguardo assente -48'-) e poi una domanda che pone a Francis alla fine del lavoro: "Che fai questo fine settimana?" e lui risponde che non sa. Gli offre anche un passaggio in auto.
Il nuovo incontro con la moglie è aggrovigliato nei pensieri e nei sentimenti; lei dice: "Chi credi di essere....Nessuno lo farebbe...". E lui risponde senza uno sguardo presente: "Lo so." (60')
Risposte chiarificatrici e con emozioni ridotte (prive di inutili amenità); il ragazzo 'non sa' (e non manifesta a noi il suo passato) e l'uomo 'sa' (dimendosi con se stesso aiutando poco lo spettatore). Un contrasto in due momenti diversi ma vicini a loro, a noi e a ciò che l'animo (vuoto) porge alle immagini povere di viltà e rimbombanti di onde spiaggiate.
Olivier offre a Francis un viaggio in auto per fargli conoscere un deposito di assi di legno e imparare il tipo di legno. Il viaggio scava all'interno del loro passato: con una cadenza minimale e uno stlile ameno i Dardenne spaventano il nostro oblio e la reticenza al gusto impertinente per farci entrare con passo da lumaca dentro il sottotono dell'animo umano. L'amore per i personaggi viene gestito con una delicatezza leale: una piuma ci cade dentro ma lacera (come non mai) l'io e quello di cui è impensabile nascondere. Gesti e modi per farci ricordare un'armonia assopita per sempre.
Ad un certo punto si fermano in un bar per prendere qualcosa da mangiare. Non parlano quasi mai: il ragazzo ci prova. Olivier sta per pagare e la cassiera dice: "Tutti e due..."; risponde: "No solo uno". E il ragazzo dopo paga il suo (non chiede nulla). Già la sera prima il ragazzo saluta l'uomo porgendogli la mano ma lui non contaccambia (gli dà un passaggio in auto). Un doppio gesto che fa capire benissimo quello che sente e che non esprime mai a noi.
Si siedono per mangiare e ad un certo punto (rompendo il silenzio) Francis chiede: "Accetterebbe di farmi da tutore?"(71').
"Non c'è l'hai già", "No". Olivier non vuole e non riesce a dire di più. Ma il ragazzo dopo un po' richiede: "E' d'accordo?"; "Non lo so devo riflettere"; "Perchè mi vuoi come tutore?" e il ragazzo in modo sincero risponde: "Perchè è lei che mi insegna un mestiere."
Ed ecco che Francis chiede di giocare una partita a biliardino (un padre che vuole il figlio a se e un figlio che vorrebbe un padre per se). Olivier chiede: "Qual è l'altra cosa oltre al furto?" (a proposito del perchè era stato così tanto tempo dentro al riformatorio). E il ragazzo: "C'è stato un morto". E lui: "Hai ucciso qualcuno?", "Sì" risponde senza paura e con lo sguardo mai 'vivo'. (75'). Va a lavarsi le mani, prende una sigaretta e torna in auto e il ragazzo, fuori, in attesa.
Ad un certo punto la domanda è nervosa e con un tono di voce 'urlato': "Lo ha fatto...o no...". "" risponde il ragazzo senza nessun coraggio. "Si è pentito?", "Ovvio", "Perchè ovvio...", "Con cinque anni di galera c'è di che pentirsene" (79').
Arrivano al deposito. Assi dapertutto. "Che legno è questo?", "Duro o dolce?"...; "E' dolce" (a proposito di un certo tipo di pino dell'Oregon). Poi altri assi....
Il dolce è l'animo di chi? E il fuoco che arde è oscuro? Per quale dannato motivo non si hanno risposte? E Olivier è veramente dolce??? E Francis...cosa penserà.
Domande allusive e eluse, evasive e mai poste: i Dardenne vanno oltre (mai stare dentro la stanza delle nefandezze); sanno ascoltare e porgere allo spettatore il meno e il realismo senza abbagli. Archetipo di cinema neo-moderno e post-abisso.
Mentre lui sceglie il tipo di legno, taglie le assi i due non dicono nulla (più di due minuti). Un silenzio fagocitante e implosivo.
Ed ecco che Olivier dice: "Il ragazzo che hai ucciso era mio figlio." (89')
Il ragazzo scappa da lui. Si nasconde. "Non aver paura torna qua". E' sopra a una pila di assi... "Scendi non ti faccio niente".
Lui di nuovo scappa ed esce fuori. Nel bosco in una corsa ansimante l'uomo riesce a prenderlo. Gli si mette sopra: gli mette le mani attorno al collo. Un solo attimo, un pensiero e uno sguardo (ammutolito) oltre le sue lenti e la rabbia viene meno. Un animo debole come quello che (forse) voleva fare.
Torna nel deposito. Inizia a caricare le assi dietro al carrello dell'auto (94').
Alza lo sguardo e vede Francis che è tornato. Si avvicina e dà una mano per caricare. Coprono il tutto e Olivier prende un corda per attaccare e fissare il tutto. Tutto nel silenzio totale.
Inquadratura di Olivier con le sue mani e la sua corda. Un epilogo senza risposte, una vita e una morte che si chiamano.

Come al solito lo stile dei Dardenne è minimo nella rindondanza, privo di pulsioni facili e parsimonioso nei movimenti fuori tempo degli attori. Un tono arcaico e un sonoro dei luoghi, un movimenti di corpi in mezzo a parole essenziali.
Uno scarno avveduto e mai ingombrante, un silenzio di cuori e un guardare attorno. Poco avezzi a qualsiasi 'dispendio' di passioni facili e di accadimenti 'ammaestrati' i due registi belgi dimostrano il polso fermo fino alla fine e in qualsiasi situazione da girare. L'animo europeo si dimena nel cinema realista (e 'puro') di questi due fratelli: la commedia e la retorica sono per (e di) altri.
Saper vedere, saper ascoltare, saper scrivere e saper girare: i Dardenne riescono benissimo in tutto questo.
Come sempre la musica è assente (nel loro ultimo "Il ragazzo con la bicicletta" hanno osato al minimo essenziale).
Da ricordare la grandissima prova di Olivier Gourmet (ormai attore feticcio dei due registi-tra l'altro premiato a Cannes-). Il ragazzo Morgan Marinne offre un'interpretazione convincente.
Voto 9/10.
 

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