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Cabiria

Regia di Giovanni Pastrone vedi scheda film

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La recensione su Cabiria

di ed wood
10 stelle

E' curioso constatare come il film che diede l'impulso alla codificazione del linguaggio cinematografico classico, operata da Griffith nel corso degli anni '10 del XX Secolo, sia stato prodotto da un Paese, l'Italia, che poco dopo, negli anni d'oro del muto (i gloriosi 20's), non avrebbe più contato niente in termini di proposte avanguardiste (a fronte di cinematografie vitali come quella sovietica, tedesca, statunitense, francese, scandinava). L'Italia futurista di inizio Novecento, che individuava (teoricamente) nel cinema la nuova frontiera verso un Arte rinnovata, dinamica, spregiudicata, esaltante, che faceva del movimento la sua ideologia fondante, potè contribuire alla causa solamente agli albori della stagione maggiore, prima di tutti gli altri, prima delle correnti, prima del Cinema stesso, per poi spegnersi senza raccogliere quanto seminato. "Cabiria" è un film epocale, di quelli che marchiano a fuoco una intera Arte. Come tutti i capolavori, è ancora oggi, a 100 anni di distanza, emozionante e trascinante. Non si tratta semplicemente di un film importante/influente per ragioni meramente tecniche, come spesso asserisce anche la critica più favorevole al film di Pastrone, esaltandone il fasto delle scenografie, i costumi ed altri aspetti decorativi. Questi costituiscono indubbiamente una parte del fascino del film e senza di essi, probabilmente, non avremmo avuto "Intolerance". Ma c'è di più. "Cabiria" è anzitutto un bel film di avventure, un gustoso mix di Storia e mitologia, con un articolato schema di personaggi, che coinvolgono Romani, Cartaginesi, Fenici, Numidi, Siracusani, incluse figure celeberrime come Annibale ed Archimede, rappresentati nelle loro gesta più iconiche (il varco delle Alpi; gli specchi ustori). Alla complessità della trama corrisponde l'assoluta semplicità della rappresentazione; così come il didascalismo del testo (al netto dell'enfasi dannunziana) e le psicologie elementari sono pienamente riscattate da immagini così splendide da vivere di luce propria, forti di una rara grazia figurativa. A livello di contenuti, il film è un'esaltazione della forza, dell'audacia, dell'astuzia, della caparbietà, dell'ingegno, insomma di tutte quelle doti che, normalmente, vengono attribuite agli italiani (pensiamo anche alla legacy che questa forma mentis riveste nello sport contemporaneo, ad esempio), e anche per questo va considerato un punto fermo nella nostra cultura; per il resto è una storia del tutto priva di profondità, senza sottotesti, infantile, di un candore così immacolato da commuovere. "Cabiria" è puro, duplice piacere del racconto e dell'immaginazione, e di questo vive. Fra i difetti che gli vengono attribuiti c'è anche la gestualità esasperata degli attori, altro tratto tipicamente italico: in realtà, la cosa è pienamente giustificata dal fatto che il film è ambientato ai tempi delle guerre Puniche. Con "Cabiria", forse per la prima volta in modo organico e consapevole, il cinematografo trova una terza e proficua via, che si emancipa tanto dai trucchi espliciti del geniale manipolatore di pellicole Melies quanto dallo sterile teatro filmato che costituiva la prassi dei registi fino a quel momento: per la prima volta l'illusione, la fascinazione dell'immagine in movimento scaturisce dall'utilizzo funzionale e poetico degli espedienti che, di lì a poco, sarebbero diventati centrali nello sviluppo delle varie correnti: il montaggio, la luce, il movimento. Finalmente una storia, non importa quanto banale, veniva raccontata (o meglio "messa in scena") con una progressione di immagini che non era più una mera ed inerte sequenza di statiche cartoline illustrative, ma una combinazione di piani ed inquadrature (non sono frontali, anche oblique) unite fra di loro da raccordi di montaggio (anche alternato) che costruivano uno spazio-tempo sospeso fra l'astrazione e la narrazione (ad esempio, vedi il dettaglio dell'anello porta-fortuna, su fondo nero). Mancavano ancora i primi piani, ma già veniva sperimentato il controcampo. L'azione delle masse in campo lungo, unita alla stratificazione in profondità, garantiva una ulteriore emancipazione dalla prassi teatrale. Anche la fotografia riveste una certa importanza nella maturazione del linguaggio filmico: l'illuminazione non è più casuale o incoerente, ma riveste una funzione evocativa (il rituale sacrificale) o anche morale (la delazione del bettoliere). Se i giochi d'ombra anticipano l'espressionismo, le sovrimpressioni fanno lo stesso con impressionismo e surrealismo. Sono solo un paio in tutto il film, ma sono meravigliose: il sogno di Sofonisba (che pare quasi proiettato su uno schermo e, fateci caso, pare quasi che la stessa Cabiria possa visualizzarlo), il finale sulla barca (con Maciste che si eclissa e lascia gradualmente spazio agli angioletti dell'Amore). La terza innovazione riguarda il movimento: si dice che Pastrone abbia brevettato il carrello, e questo spiega già tutto. E' semplicemente emozionante come in "Cabiria" la stasi teatrale venga spesso turbata da una mdp che si avvicina, timidamente, ai personaggi, che esplora l'ambiente, che si avventura nella terza dimensione. Se i movimenti in orizzontale sono i più illustrativi e descrittivi, quelli in profondità sono i più emotivi ed annunciano la funzione psicologica della mdp. La cosa che affascina di "Cabiria" è proprio questo suo stato ibrido, fra teatro (ma anche prosa epica, architettura, pittura) e cinema, fra vecchio e nuovo: i momenti più suggestivi sono proprio quelli in cui si avverte, palpabilmente, tale scarto fra una dimensione e l'altra, fra un'epoca e la successiva. Non è un film "fatto e finito" come quelli di Griffith, ma proprio per questo è più commovente. Ogni inquadratura è uno scrigno di meraviglie e ogni volta che un personaggio esce da questa per entrare in un'altra, magari aprendo una botola, si spalanca un nuovo mondo, un nuovo possibile immaginario. Dalle vette alpine al deserto magrebino, dai templi cartaginesi alle dimore patrizie catanesi, non ci sono limiti all'inventiva di Pastrone (a anche al budget, per l'epoca consistente). Significativo infine è anche il fatto che la protagonista, che dà il titolo al film, si veda poco e sia più che altro trascinata a forza da una parte all'altra: la piccola Cabiria è un "eldorado", una presenza ideale da inseguire e per cui mettersi in gioco, un'ossessione, fatalmente una metafora del cinema pionieristico. 

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