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Monster's Ball

Regia di Marc Forster vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Monster's Ball

di logos
8 stelle

Una famiglia che di generazione in generazione segue imperterrita la professione integerrima di agente di custodia nel braccio della morte. E così abbiamo il padre, oramai in pensione e in uno stato di salute legato a una bombola d’ossigeno e in condizioni semi autonome, e il figlio, Hank, che a sua volta prosegue con grande fedeltà il mestiere del padre, nonché il figlio di Hank, Sonny, anche lui agente di custodia, ma a differenza di suo padre e di suo nonno è più sensibile, ha un occhio di riguardo verso i diversi, i neri, e soprattutto nei confronti dell’uomo, nero anche lui, che dovrà essere condotto alla sedia elettrica.

 

E’ una famiglia chiusa, impermeabile ai valori democratici, che rispecchia quel senso repubblicano puritano caratteristico di una cittadina di provincia nel sud degli Stati Uniti. Uomini di poche parole, e quelle poche che sanno dirsi sono solo ingiuntive, quasi per darsi una strigliata per rimanere nel solco del loro stile di vita, ma con l’odio silente che si tramanda di padre in figlio. Così ad esempio il padre di Hank intima il figlio a sorvegliare la loro proprietà, soltanto perché vede due bambini neri girarci intorno, sottolineando così l’esecrabile distrazione di Hank; e così Hank, automaticamente, senza dire niente, prende il suo fucile e intima ai bambini di andarsene, nonostante con loro vi sia suo figlio Sonny. Perciò come il padre striglia suo figlio Hank, anche Hank striglia suo figlio Sonny.

 

Questo odio, che circola tra questi tre uomini, in fondo non è altro che il rimescolamento di un complesso edipico irrisolto. E così Sonny non perdona al padre Hank il suicidio della madre, e non sopporta di vedere Hank che lo identifica con le debolezze della propria madre. Ma a sua volta Hank non sopporta che il padre lo accosti alle debolezza della propria madre, donna che con la sua morte ha consentito al padre di Hank di essere più libero e di scopare più e meglio. Il regista sottolinea questi particolari con la ripresa di gelide battute, sguardi di sfida, con ritmi lenti, quasi a rappresentare un’imminente resa dei conti. E’ in fondo un razzismo che non riesce più a coprire l’umanità che continuamente rimuove da se stessa, e come un vampiro finisce per succhiare tutti gli affetti rimossi per le donne/madri traendone quella rabbia che va a gonfiare un Super-Io sempre più coattivo, che induce al rimorso ma anche alla prosecuzione di una esistenza per avere maggiori rimorsi, in una coazione a ripetere per salvaguardare il razzismo, la durezza, la diffidenza ad oltranza.  

 

Il tutto sembra scoppiare in occasione della esecuzione del detenuto, il quale ha dei dialoghi furtivi proprio con Sonny, una sorta di vicinanza che non è consentita nel braccio della morte, immancabilmente rilevata e corretta dal padre collega Hank. Il detenuto è un amante ritrattista, e per l’occasione regala al padre e al figlio i loro ritratti, disegnati sul posto, prima di consegnarsi alla morte. Accompagnato all’esecuzione, Sonny si stacca un attimo dai colleghi per un improvviso attacco di vomito. Per il padre tutto ciò è inconcepibile, lo prende con violenza presso i bagni dell’istituto carcerario, lo insulta, lo colpisce di botte, finirebbe per ammazzarlo se non intervenissero i collegi. In una scena successiva gli intima di sparire dalla casa di famiglia, ma il figlio Sonny stavolta reagisce, lo minaccia con la rivoltella di ordinanza, lo fa piegare col corpo, e alla fine gli dice in faccia che si si è sentito sempre odiato dal padre mentre lui non ha mai smesso di volergli bene, e improvvisamente, con quella pistola, rivolta poco prima al padre, si suicida. Quindi l’unica via di scampo da questa spirale edipica del figlio contro il padre per la donna/madre, schiacciata da valori mortiferi maschilisti, sembra essere il suicidio.

 

Il padre di Hank durante il funerale non dice altro che Sonny era un uomo debole, ma Hank, quasi come il segnale che qualcosa in lui sta nascendo in un travaglio struggente, gli risponde che se ha qualcosa da dire è meglio che lo dica quando Sonny, il suo nipote, è sepolto. Subentra in Hank una vera e propria crisi esistenziale, che gli fa cambiare la propria visione del mondo. Innanzitutto si avvicina al padre dei due giovani neri, i quali gli fanno le condoglianze per la perdita di Sonny; si dimette dal dannato lavoro e acquista una stazione di benzina. Qui è evidente la ribellione al padre, come riscatto dal senso di colpa verso il suicidio del figlio, e anche un rovesciamento dei valori, unica possibilità per continuare a esistere nel Senso.

 

Non c’è poi da dimenticare tutto l’altro filone della storia. La moglie del condannato, Leticia, non naviga in acque tranquille, è appena stata licenziata, si è trovata un lavoro precario di cameriera e deve seguire il figlio Lawrence, che soffre di obesità. Ogni tanto Hank si reca al bar dove lei lavora, si danno qualche occhiata furtiva, ma niente di che… Il destino vuole che Hank, in macchina, veda quella donna e suo figlio per la strada stramazzato al suolo; non si ferma subito, ma poi ritorna indietro, li soccorre, li porta all’ospedale, ma oramai è troppo tardi, il figlio muore.

 

Nasce tra i due una storia, il bianco Hank e la nera Leticia. Entrando in casa di Leticia, Hank scopre la verità, ossia che lei è la vedova del condannato a morte, con il cadavere del figlio ancora fresco. Ma Hank non dice nulla di sé, dice soltanto di essere vedovo e anche lui con un figlio morto.  Come dire la verità, di essere un ex agente di custodia, proprio quello che ha accompagnato il marito di lei all’esecuzione? Leticia va a trovare casualmente Hank a casa sua per donargli un regalo, ma trova al suo posto il padre di Hank, che da buon razzista la prende in giro, dicendo che anche lui, come il figlio, ogni tanto aveva bisogno di farsi una negra, giusto appunto per sentirsi uomo di razza bianca. Inorridita, Leticia non vuole più sapere di Hank, estendendo il razzismo del padre anche al figlio. Ma Hank non si scoraggia, vuole continuare la sua rinascita esistenziale, non si piega alle istanze del padre. Anzi, fa proprio l’inverso. Lo manda in una casa di riposo, ridipinge tutta la casa, e aspetta...  aspetta il ritorno di Leticia, nome con il quale ha denominato anche la sua stazione di benzina. Leticia ritornerà sui suoi passi, anche perché nel frattempo è stata sfratata. Decidono dunque di vivere insieme, nella casa di Hank, senza più il padre.

 

Ma i fantasmi ritornano, perché in un attimo in cui Leticia è sola scorge quei ritratti disegnati fatti dal suo ex marito, e così tra sé e sé scopre tutta la verità. Quando Hank ritorna, vediamo una Leticia affranta, disperata, in un mutismo inquietante, sembra quasi che nasconda tra le mani qualcosa che serva per uccidere Hank. Si appartano sulle scale che danno al giardino, iniziano a mangiare il gelato che Hank ha appena acquistato assentandosi; si scorgono le tre tombe di famiglia; Leticia le guarda, poi guarda Hank; Hank la guarda, entrambi si guardano, un tiepido sorriso li unisce.

 

 Il cast è formidabile. Tutto funziona a meraviglia; da Bob Thornton nel ruolo di Hank a Heath Ledeger nel ruolo di Sonny o di Halle Berry nel ruolo di Leticia.

Sceneggiatura straordinaria, anche se i temi che deve affrontare sono notevoli e numerosi, e non sempre si può tener testa a tutto quanto, con i dovuti equilibri: razzismo, pena di morte, senso di colpa, complesso edipico, castrazione, solitudine, incomunicabilità, rinascita esistenziale, sessualità, povertà, emarginazione. La regia è ben consapevole di come incastrare tutte queste tematiche, facendo roteare l’ombra della vita attraverso le immagini riflesse, che fanno da ponte tra le esistenze, quelle di Hank e Leticia soprattutto, le quali dialogano sull’inconcepibile mai direttamente, ma sempre attraverso riflessi e allusioni, con quel sapere l’uno dell’altro che non può essere oggettivato nella parola esplicativa, che denomina e spegne, ma soltanto nella parola che si offre come cenno, quale spazio di un perdono reciproco a se stessi e all’altro, per tentarne le possibilità che ancora si profilano. Una pellicola che per certi versi avvicina ai Coen ma anche a Bergman. Ripetto ai Coen sono indicativi i silenzi, i rapporti di odio silente tra padri e figli, in dinamiche grottesche, in una casa scricchiolante tra il chiaro e lo scuro; ma li ritroviamo proprio nel protagonista stesso, che con ci fa dimenticare L'uomo che non c'era. Di Bergman ci sono i dialoghi e i mologhi dirompenti e iprovvisi di una Letice che non si stanca di chiedere il perché di un'esistenza tanto assurda e senza senso circa la morte improvvisa del figlio. E' interessante notare come Leticia chieda a Hank perchè si sia fermato a soccorrerla. E' una domanda da fare o a cui rispondere? E' una domanda provocatoria? Hank allora risponde, riferendo della morte di suo figlio. Nasce una sorta di immedesimazione, empatia, ma che non è più su un piano soltanto psicologico, affettivo ecc..; è qualcosa di più, è un'empatia esistenziale circa l'assurdo dell'esistenza, grazie alla quale si può ancora interrogare l'Essere e se stessi, in una relazione irta di trappole e di possibilità.

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