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Parla con lei

Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film

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La recensione su Parla con lei

di LorCio
8 stelle

Spiazza, Don Pedro. C’eravamo accorti sin dai tempi di Tutto su mia madre che il trasgressivo e libertino Almodòvar stava cambiando (pelle? Chissà). Quella di questo fondamentale film appartiene ad un Almodòvar diverso, che cerca le tracce della vita perduta nell’apparenza della morte cerebrale. “Dalla morte emerge la vita”, o no? Ha trovato una sua dimensione narrativa molto interessante, in cui concentra l’inquietudine nel suo percepire il divenire e il bisogno di certezze emozionali. Percorre con delicatezza un’opera sospesa tra surreale e tangibile, col passo silenzioso di chi non vuole invadere territori che non gli appartengono, una privacy inviolabile che risiede nel parallelismo tra cinema e vita, e il tono viscerale dell’accorato e sensibile melodramma d’appendice. Proprio dal suo genere prediletto (proseguendo un discorso iniziato con Tacchi a spillo e Tutto su mia madre e per certi versi anche Carne tremula, incentrato sull’attesa della redenzione sentimentale), Almodòvar riprende con rispettosa amorevolezza elementi e situazioni, su tutte la pioggia indispensabili per la ricerca interiore e psicologica e le lettere disperate come veicolo emotivo di chi (forse) ama troppo.

 

L’autore parla con i suoi personaggi con più ragione senza dimenticare il sentimento, confinando in un angolo l’orgoglio e depennando il pregiudizio (come gli è congeniale, d’altronde); li fa emergere da un acqua che accoglie e al contempo nasconde; li fa penetrare anche sessualmente l’uno nell’altro per compensarsi (metaforico, appunto, è il film muto in bianco/nero con l’uomo nudo che entra nella vagina della donna – fosse questo il motivo, ipocrita, del divieto ai minori di 14 anni?) e complementarsi. Almodòvar ama i suoi personaggi, non può fare a meno dei vari Benigno (con il quale, probabilmente, si identifica più di tutti), Marco, Alicia, Lydia: sono gli strumenti che gli occorrono per parlare dello stato delle cose relative alla nostra coscienza. Ama i suoi personaggi, e per questo sa che per crescere hanno bisogno di sbagliare, devono soffrire. Bagnati da una torrenziale pioggia, internati per aver seminato troppa devozione amorosa, strutti dopo la lettura di una lettera che chiude un capitolo e ne apre un altro o da un tormentato colloquio tra amici innamorati. Come in un romanzo, ogni fine è il pretesto per ricominciare. Quasi un capolavoro, se non fosse per qualche sbavatura. Nonostante ciò, un classico. Di diritto.

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