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Tanguy

Regia di Étienne Chatilliez vedi scheda film

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La recensione su Tanguy

di LorCio
7 stelle

Il successo d’oltralpe di Tanguy suscita non poche riflessioni. Dietro la scorza brillante di questa commedia sui conflitti familiari derivati dall’esasperazione della convivenza, pulsa il cuore di una generazione smarrita. Bollata da Tommaso Padoa Schioppa come la generazione dei “bamboccioni”, merita in realtà una analisi più attenta. È una generazione precariamente sospesa tra paura e rischio, spensieratezza ed incertezza nel futuro, priva pressoché di punti di riferimento. Se resta a casa, nel lettone insieme a mamma e papà, è perché spera di costruire il proprio futuro lavorativo con più accuratezza, evitando l’arditezza di creare un nucleo familiare a cui non poter donare la sicurezza economica ed esistenziale. È una generazione che va capita, e che ha trovato in Tanguy una sorta di portavoce ed al contempo di esemplificazione umana del turbamento intrinseco che l’affligge. Tanguy è imperfetto, ma è un giovane di successo (seppur limitato, ma, di questi tempi, la carriera di Tanguy è una signora carriera), con i suoi difetti e le sue inquietudini (il sesso, il timore nei confronti dell’altro – un “altro” inteso come mondo, singolo, astratto): può essere considerato a ragione il portabandiera dei trentenni che si affacciano al duemila con occhi smarriti e dubbiosi. Ma non è solo questo, Tanguy. Non è solo la rappresentazione attendibile di una generazione persa in sé stessa (e che, infatti, cerca il suo posto nel mondo altrove, magari nella Cina dei figli unici). È anche il ritratto (acido) della generazione precedente, quella delle mamme e dei papà (ormai cinquanta-sessantenni) che hanno fatto il sessantotto e sono cresciuti un po’ rimembrando i tempi andati della contestazione e un po’ sperando che i figli prendessero strade più sicure. In questi termini, André Dussolier e Sabine Azèma sono perfetti: incarnano con gusto aspramente e comicamente cinico due genitori dominati dal dissidio interiore del distacco e dell’attaccamento verso il figlio unico. Stufi di averlo tra i piedi, si danno alla pazza gioia, ma il cordone ombelicale non si taglia in maniera indolore (è un po’ come un decreto Gelmini: taglia e fa male), e dopo qualche canna e un po’ di sesso il richiamo dell’erede è forte. E poi ci sta la vecchia a cui badare. Girato forse con sociologica inconsapevolezza, Tanguy è un film seminale, amaramente divertente, dominata da attori in stato di grazia. Forse non tutto torna, non tutto convince (un po’ di macchinosità qua e là), ma ad avercene di commedie deliziosamente impegnate come queste.

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