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Knightriders

Regia di George A. Romero vedi scheda film

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La recensione su Knightriders

di supadany
8 stelle

In carriera, George A. Romero ha girato prevalentemente horror, o come minimo qualcosa del genere c’è sempre stato in ogni sua prova, per cui già solo il fatto che in questo caso non ve ne sia traccia alcuna, fa si che quest’opera abbia una posizione a se stante all’interno della sua filmografia, peraltro snodandosi richiamando di tutto e di più tranne che appunto il suo punto forte.

Prende vita così un film ricco e stravagante; se si riesce andare oltre la seconda definizione diventa rigoglioso di sorprese.

Una comunità di motociclisti attraversa gli States mettendo in scena spettacoli in stile medievale per raggranellare qualche spicciolo e vivere insieme secondo delle regole prestabilite.

Quando il loro successo finisce sotto l’occhio di una televisione, i possibili compensi fanno gola ad alcuni di loro; toccherà al Re, e leader, Billy Evans (Ed Harris) trovare il modo di ricompattare il gruppo dando anche a chi se lo merita le giuste soddifazioni.

 

 

A suo modo si tratta di un cult dimenticato, oppure semplicemente mai conosciuto (in Italia, mai uscito in sala, in televisione è passata una copia rimaneggiata, in dvd si trova ma non ovunque) che ci fa conoscere un George A. Romero diverso anche se poi riesce ad essere comunque analitico nelle sue invettive che trovano spazio lungo il percorso per poi culminare proprio sul finire.

Ma la facciata è molto particolare; moto al posto dei cavalli, una comunità socialmente anarchica impostata secondo dei valori, duelli per compiacere il pubblico ma anche per la gloria personale, con voli e botte da orbi sempre (o quasi …) nel rispetto delle regole e quando sopraggiunge la vera violenza ci si fa male sul serio e viene allo stesso tempo agognata dal pubblico. 

Almeno tre blocchi piuttosto lunghi sono dominati da queste sfide, contraddistinte da grandi stunt (furono ingaggiati i migliori stunt-men dell’epoca), da far invidia ai duelli su due ruote (ma anche quattro) visti nel corso degli anni.

Se questo è il lato ludico, se la creazione di un’identità di gruppo appare felice, goliardica e descrittivamente abbondante, emergono gradualmente tutta una serie di implicazioni e temi che forniscono alla pellicola quel gradiente in più che le permette di fare un ulteriore passo rispetto al semplice divertimento formato “b-movie”.

Nella prima parte troviamo la condanna della corruzione nel mondo della giustizia (violenta) con anche accenni a problematiche esistenziali (identità sessuale), ma verso la metà comincia a delinearsi un panorama più completo.

Valori ed ideali per George A. Romero non hanno prezzo, ma poi sono i soldi a fare girare il mondo, esserne attratti è la cosa più facile che ci sia e diventa difficile tenere unito un gruppo, soprattutto quando subentra l’influenza dei media (televisione) che risulta essere deflagrante.

E tutto si amplifica ancora maggiormente sulle conclusioni che semplicemente, nel peregrinare di Billy, demarcano la fine di un’epoca più libera e lo fanno coprendo una ampio ventaglio di emozioni, tra cuore, spirito di sacrificio, vendetta, con la forza di perdonare ed ascoltare che permette all’uomo saggio di capire e di intercettare gli umori altrui.

Notevole Ed Harris, qui alla sua terza prova d’attore e prima da protagonista assoluto, il mitico Tom Savini è una controparte recalcitrante e smaniosa, ma è un po’ tutto il cast a meritare una menzione d’insieme, mentre i più accorti non si faranno sfuggire il cameo di Stephen King (nei panni di uno spettatore che crede che lo show sia tutto finto).

Dunque, quando vige l’azione questa ha una marcia superiore anche su tempi insistiti (quando cominciano, i duelli si susseguono a lungo e con ritmo incessante), nei momenti di stasi si da un ampio spazio alla riflessione, poi è sicuramente bislungo (e pure bislacco a volte) e tagliare una ventina di minuti (la Director’s cut ne dura 140, titoli di coda inclusi) avrebbe forse giovato, ma su tutto prevale la fisionomia di un tipo di cinema pieno e vivissimo, che rifugge la catalogazione per generi e che prospera anche su alcune incertezze (ingenuità) che rendono l’insieme ancora più umano.

Sorprendente e rivelatorio pur nelle sue imperfezioni.  

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