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A Beautiful Mind

Regia di Ron Howard vedi scheda film

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La recensione su A Beautiful Mind

di FilmTv Rivista
8 stelle

Davvero una “magnifica mente”, quella di John Forbes Nash jr., che a vent’anni elaborò la teoria dei giochi e rivoluzionò le basi dell’economia moderna. Era il 1948 e Nash stava a Princeton con la più ambita delle borse di studio; ma non era della razza classica degli studenti che da generazioni hanno l’università nel sangue e nei modi. Piccolo borghese, un po’ sciattone, testa nelle nuvole (sempre a inseguire un’idea brillante e veramente originale), molto scontroso, per nulla avvezzo ai riti giovanili, molto invidiato e perciò un po’ perseguitato per la fama, appunto, di mente magnifica che l’ha preceduto. Eppure, bastano una sconfitta al “Go” (antico gioco da tavolo al quale si sfidano gli studenti di Princeton) e una serata al bar a osservare i meccanismi di squadra innescati tra i suoi compagni dalla presenza di una bionda esplosiva per accendere nel suo cervello la scintilla dell’invenzione. Si fa fatica a immaginare il “gladiatore” Russell Crowe nei panni di questo genio ombroso e travolto dalla schizofrenia, che arriva al Nobel nel 1994 grazie a quella sua teoria giovanile. Ma basta ricordare il borghese ostinato di “Insider” per ritrovare sulla faccia di Crowe quell’espressione decisa e aggrottata che qui gli fa voltare le spalle, con sofferenza, alle immagini della sua malattia. Probabilmente Crowe non vincerà un secondo Oscar in due anni, ma per questo film lo meriterebbe davvero. E, al suo fianco, lo meriterebbe anche Jennifer Connelly, cresciuta in misura, fascino e tenerezza da quando, ragazzina, ballava “Amapola” e si lasciava guardare da Noodles in “C’era una volta in America”. “A Beautiful Mind” è un film dalle cadenze classiche e impreviste. Nasconde con abilità i risvolti misteriosi della sceneggiatura e con senso sotterraneo del suspense centellina dubbi e rivelazioni, quasi la consapevolezza degli spettatori dovesse andare di pari passo con quella del protagonista. Non esita davanti all’esasperazione e non si vergogna della commozione. Ron Howard cresce sempre di più come regista e, se non inventa, certamente ama raccontare.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 9 del 2002

Autore: Emanuela Martini

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