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Il mio corpo ti scalderà

Regia di Howard Hughes vedi scheda film

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La recensione su Il mio corpo ti scalderà

di scapigliato
8 stelle

Nella realtà storica Billy the Kid e Doc Holliday non si incontrarono mai, per quel che ci è dato sapere. Poteva accadere solo al cinema. A procurare un incontro storico ed anche universale, visto i sottotesti di cui è veicolo, ci ha pensato agli albori del western codificato il discusso Howard Hughes. Anche regista, Hughes racconta di un giovanissimo e davvero affascinante Billy the Kid che in quel di Lincoln, nel 1881, si incontra/scontra/confronta con un maturo Doc Holliday, amico di lunga data del neo-sceriffo Pat Garrett, che per ironia della sorta non aveva mai conosciuto il Kid, cosa storicamente falsa. Ma a noi non ci interessa. Ciò che ci interessa è il film e la sua potenza visiva e mitica, capace con un pastiche storico di far rivivere un’epopea per quello che era: uno scenario di vite leggendarie ed esemplari, non però nell’accezione edificante quanto in quella iconica. Tre tra i nomi più celebri delle tre più leggendarie e mitiche storie della frontiera western (il Kid, l’Ok Corral, e Jesse James) assumono qui i caratteri di un percorso umano simbolico, dai forti sottotesti omosessuali, come a dire che la storia dell’uomo è scandita, volendo o nolendo, da tensioni omoerotiche. Il bellissimo Kid di Jack Beutel è irresistibile. Va detto senza vergogna. Il Doc Holliday che gli diventa amico è una bella faccia da western, dai cambiamenti troppo repentini, soprattutto nel finale, ma che compie a dovere il ruolo di uomo tutto di un pezzo che però si scioglie e s’inclina sentimentalmente davanti all’amicizia virile per l’adolescente, che sottotace invece un attrazione omoerotica evidentissima. Il terzo incomodo, proprio come in un triangolo amoroso, è lo sceriffo Pat Garrett, qui in una mise poco attraente, piuttosto tratteggiato come vecchio laido e perverso. Tra loro si muove quasi insignificante la bella Rio, protagonista di alcune idee registiche notevoli, ma che non la elevano a più di quarto termine del melodramma. Perché “The Outlaw” ovvero “Il Mio Corpo ti Scalderà” commistiona bene tra loro il mélo e il puro western. Non mancano le sparatorie, i duelli e gli inseguimenti (quello degli indiani mescaleros è da antologia), così come non manca un approccio noir alla vicenda e alla torbidezza delle relazioni, sviluppate sulle regole tragiche del melodramma. Qui il segno è però opposto: non si tratta di un triangolo etero, bensì omosessuale, con buona pace di chi oggi è ancora miope e non ci crede. Sul finale tutto sfocia in puro melodramma spiazzante, visti i termini virili in gioco. Pat Garrett uccide l’amico Doc trasportato da un’evidentissima gelosia folle, di cui il Kid è l’elemento disturbante. E poi, come non vedere nel confronto che fa il Kid delle sue pistole con quelle dell’amico Holliday, un confronto adolescenziale della propria virilità. E ancora, come non vedere nell’esasperata voglia di possesso delle pistole del Kid, da parte di Garrett, una brama fin troppo facile del sesso altrui, anche feticista. Tutto è però disegnato con i colori del masochismo. La scena in cui Holliday spara e mutila il giovane Kid ha un sapore sadiano di sessualità repressa che ci urla a gran voce di liberarci dei nostri pruriti e godere.
Un gran film che tesse un intreccio poco macchinoso, ma suggestivo. Ugualmente valido sul piano filmico che contenutistico. Non è banale. Anzi, per l’epoca era di una sovversione che oggi si è persa. Ammettere che a gestire i sentimenti virili c’è anche un’attrazione sessuale, che non necessariamente deve esaurirsi in un rapporto sessuale completo, è ammettere che l’uomo è predisposto al piacere, al piacere della bellezza e del gusto per il piacere. Religioni, convenzioni e governi hanno inquinato la nostra anima con leggi e dogmi antiumanisti. Hughes se ne riappropria con forza, e la restituisce allo spettatore con la forza del gesto spudorato e non conciliante. Peccato per il finale. Avremmo voluto che il Kid se ne fosse andato solo con il suo cavallo Red (il cavallo, altro simbolo fallico e di virilità del West, come la pistola), invece di portarsi in groppa la bella Rio. Ma questo apre le porte ad una riflessione più ampia, comunque ambigua, sulla fruizione e il piacere della fruizione sessuale. Non siamo condannati all’eterosessualità o all’omosessualità. L’uomo deve e può soltanto godere il gusto del piacere fisico. Ma altro si potrebbe dire. Enumerando omosessualità, feticismo, masochismo e sadismo ci sembra di trovarci più davanti ad un film di sexplotation anni ’70, dove l’illecito e l’immorale diventano strumenti di libertà e di anti-dogmatismo, invece che davanti ad un western. Ma su tutte queste voci ecco che la riflessione più indicata e meno banalmente pruriginosa è la riflessione sull’adolescente. Si sa: l’adolescenza è la condizione esistenziale dell’artista. Ma adolescente è anche la tensione sessuale più innocente, l’età dell’oro, l’acerbo corpo virginale, l’innocenza e la purezza. Quindi un luogo dell’anima che trova la cornice più adatta ad una sua elegia con il western. E non solo il film di Hughes prende l’adolescenza come conflitto che porta avanti l’azione, ma quasi tutti i più grandi autori e intellettuali del western la elevano a grande, e a volte unico, termine di confronto con la perdita dell’innocenza e di quell’altrove e altrieri che noi chiamiamo Western, ma che in realtà è il luogo mitico per eccellenza delle nostre emozioni liberate. Adorare il corpo del giovane Kid, osteggiarlo come fa Coburn nella versione di Peckinpah, scontrarsi comunque con un bel ragazzo alla Monty Clift de “Il Fiume Rosso”, è la svelazione della nostra tensione verso la bellezza, connaturata all’essere umano. Ma anche la tensione verso la giovinezza che se ne va, verso la libertà totale che viene sostituita dalle leggi del mondo degli adulti. Le sfacettature con cui l’Adolescenza si presenta nell’arte, per lo più con richiami sessuali, indicano la sua grande importanza mitica. L’adolescenza quindi non è più soltanto una fase biologica della vita, ma il paradigma più inossidabile della vita stessa, sospesa com’è, tra dovere e piacere, lecito ed illecito, regole e libertà.

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