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Mulholland Drive

Regia di David Lynch vedi scheda film

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La recensione su Mulholland Drive

di barabbovich
8 stelle

Sulla Mulholland drive, nei pressi delle colline di Hollywood, una donna (Harring) esce miracolosamente indenne ma perde la memoria. Si rifugia nella prima casa che trova, nella quale abita provvisoriamente una giovane aspirante attrice che si trova nella capitale mondiale del cinema per un provino (Watts). La ragazza si appassiona alla vicenda della sconosciuta e si mette con lei a cercare tracce del suo passato. Sembra che la storia della donna si intrecci in qualche modo con quella di un capriccioso regista al quale la mafia ha imposto per il suo prossimo film una protagonista che all'uomo non piace. È a questo punto che le identità delle due protagoniste, che in piena notte assistono a uno spettacolo teatrale dove "nulla sembra ciò che è", si confondono con quelle di una donna trovata morta nel proprio appartamento e della protagonista indesiderata del film. Una chiave apre una scatola blu, il vaso di Pandora dal quale Lynch attinge tutta la sua potenza visionaria per un film che per oltre un'ora e mezza sembra seguire una pista gialla, per poi imboccare bruscamente i meandri dell'inconscio. A voler mettere sul lettino del dottor Freud il regista del Montana, si potrebbe azzardare una lettura secondo cui tutta la prima parte del film è la ricostruzione inconscia di un omicidio compiuto per gelosia dalla giovane attrice, con tanto di rimozione e sostituzione di identità: ne darebbero prova la presenza di un killer maldestro, assoldato per uccidere la donna che ha perso la memoria, e la tresca che quest'ultima ha col regista. O lo si potrebbe leggere come una gigantesca metafora sul cinema che ha perduto l'innocenza di uno sguardo diretto in ragione di una sofisticazione sempre crescente. Ma al di là delle congetture, il film di Lynch è godibile per l'incastro metafisico del racconto - molto dark a forti tinte saffiche (c'è una scena molto erotica tra le due protagoniste) - e per una grammatica narrativa che ci rimanda al crocevia tra il Bergman de Il settimo sigillo e il Kubrick di Eyes wide shut.

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