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Gli specialisti

Regia di Sergio Corbucci vedi scheda film

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La recensione su Gli specialisti

di scapigliato
8 stelle

Il film fa il paio con “Il Grande Silenzio” sia per le locations alpine sia per il protagonista francese e sia per una coincidenza particolare come il nome di Gideon per lo sceriffo. In più chiaramente prosegue la carrellata dei pistoleri menomati al momento del duello decisivo. Anche il Grande Hud di Johnny Hallyday, come il Django di Franco Nero e compagnia bella, sul finale riceve uno scacco importante che potrebbe mettergli a rischio la pelle. Da molti definito uno dei western minori di Corbucci in realtà “Gli Specialisti”, che prende il nome dalla specializzazione in linciaggi degli abitanti di Blackstone, un tempo Piedranegra, è un gran film splendidamente fotografato, la cui ambientazione in un Nevada “alpino”, con tanto di nuvole basse, tempo da lupi e monti pallidi, conferiscono al film una dimensione tra l’onirico e la tragedia annunciata, in cui gli elementi naturali parlano per i loro protagonisti. Non essendo Johnny Hallyday un grande attore, il regista riesce ugualmente a dargli una personalità efficace per l’impianto western italiano. É solitario, è taciturno, parla poco e spara molto, fa anche a meno delle donne e degli affetti in generale perchè ha in mente solo la sua missione, il suo scopo, la sua vendetta. E Corbucci sa come “dissociare” i suoi personaggi costruendone il carattere attraverso la messa in scena, prima che attraverso il lavoro sull’attore. Eccolo quindi, il Grande Hud, cavalcare con nonchalance su ogni terreno, sparare come il demonio grazie all’azzardatissimo montaggio rapido e secco, e impossessarsi della scena grazie ad inquadrature sempre meno realistiche e sempre più mitiche, funzionali quindi a dare al film e alla sua storia la dimensione quasi di una tragedia. Anche al personaggio di Gastone Moschin è riservata grande attenzione. Infatti, non solo l’attore dà un corpo particolare al suo personaggio, ma lo stesso regista lo risalta appena può, soprattutto nel confronto diretto con El Diablo, un macchiettistico Mario Adorf, simpatico ma nulla più. L’inquadratura del grande e compianto Moschin che avanza nel centro della main street, in pieno sole e in pieno silenzio, un po’ ricorda il Gary Cooper di “Mezzoggiorno di Fuoco”, ma grazie al colore vediamo impresse sulla pellicola le sfumature di un momento epico ineguagliabile come quello di un duello.
Da notare all’interno del film degli elementi destabilizzanti che oltre a rinnovare la bizzarria dell’autorialità del nostro cinema, ne arricchiscono la struttura e la portata semantica. I quattro vagabondi bohemi, che nel ’69 sono individuabili negli hyppie, sono un elemento bizzarro, ma efficace. Fumano ashish, si toccano anche tra maschi, tentano di sedurre la bella protagonista per un’orgia, vagabondano e sognano il comando violento. Il bello è che sono ragazzini, e questo istiga una certa pruderia. Chi non ha vissuto una giovinezza trasgressiva e ribelle sente crollarsi il mondo sotto i piedi, chi invece ci è passato la ricorda con nostalgia. In entrambi i casi nessuno rimane indifferente a quello che i quattro bohemi combinano. Nemmeno sul finale, quando armati e aggressivi, obbligano l’intero paese a spogliarsi. Una scena che sa di Apocalisse, e che aumenta di significato grazie al precedente rogo dei dollari rubati, con conseguente scena di delirio collettivo dei bravi borghesi affaristi ed immorali. L’attacco al capitalismo prima, e l’attacco all’inutilità del pensiero hyppie poi, che si traduce ugualmente in sopraffazione e presa di potere, sono gli elementi di punta del bellissimo finale corbucciano. Elementi che accompagnano il malmesso Grande Hud mentre s’allontana verso il sole.

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