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Betty Love

Regia di Neil LaBute vedi scheda film

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La recensione su Betty Love

di degoffro
7 stelle

Dopo l’indigesto e pretenzioso “Amici & vicini”, il regista Neil LaBute recupera un po’ di credito. Al suo terzo film e per la prima volta alle prese con un copione non suo (la sceneggiatura, premiata a Cannes, è infatti firmata dagli sconosciuti James Flamberg e John C. Richards), LaBute confeziona una black comedy spiritosa e brillante, arguta e bizzarra, ma non pienamente saporita e compiuta. Impreziosito dalla presenza di un’incantevole ed adorabile Renée Zellweger, qui alla sua prova più bella ed intonata, altro che Bridget Jones, “Betty Love” vale molto di più sul versante rosa che non su quello nero. Se infatti la vicenda relativa a Betty, cameriera in un fast food che, dopo essere stata involontaria testimone dell’omicidio del marito, si trova a vivere in una realtà parallela che nella sua mente corrisponde al mondo della sua soap opera preferita, funziona soprattutto per l’ingenua tenerezza e il candido stupore del personaggio principale, con alcuni momenti piuttosto esilaranti e riusciti come il primo incontro “ufficiale” con il protagonista della soap, il racconto incentrato sui due killer del marito alla ricerca della donna e della droga contenuta nel bagagliaio della sua macchina è infantile, convenzionale, raffazzonato e superfluo con alcuni episodi persino imbarazzanti (Morgan Freeman che balla da solo sul Grand Canyon). LaBute fatica a bilanciare i due registri e il film, nel suo complesso, ne soffre, appesantito da un ritmo altalenante, da gag spuntate, da violenze grottesche, fumettistiche e un tantino gratuite (l’omicidio iniziale con tanto di scalpo, tutta la sparatoria finale) che tentano maldestramente di sfruttare la tanto in voga moda tarantiniana o imitare lo stile dei fratelli Coen (“Fargo” su tutti). Quanto agli attori, detto della magistrale e tutt’altro che facile prova della protagonista, giustamente vincitrice del Golden Globe, brava a rendere credibile un carattere incredibile, si può aggiungere che Freeman nei panni di un killer gentile che, come Betty, si crea una realtà distorta immaginando di sposare proprio la protagonista, si difende con il mestiere, Greg Kinnear è in parte, Chris Rock è più sopportabile del solito. Peccato perché il personaggio di Betty, “un tipetto alla Doris Day, unica nel suo genere” ha una puerile e genuina dolcezza che spesso arriva a commuovere e il tema del rapporto realtà/finzione, vita vissuta/vita immaginata (chi non ha mai sognato almeno una volta un’esistenza diversa da quella reale), grazie anche alla condizione paradossale di Betty - il che permette di utilizzare nella narrazione toni ovattati, favolistici, quasi surreali, ma anche le forzature, gli eccessi, gli stereotipi, le improbabilità e le stucchevolezze tipici di una soap senza che questi risultino fasulli o banali - è affrontato con una pregevole ed ironica leggerezza di tocco portando a risultati spesso divertenti, stravaganti e gustosi, nonostante l’allarmante e diffusa dipendenza che vuole denunciare (la tv come artificioso sostituto della vita vera). Calzante la descrizione del film che fa Paolo Boschi: “una commedia on the road dai risvolti noir e ricca di citazioni illustri: dal cinema Tarantino-style ad un pizzico dei fratelli Coen, da sprazzi di soap operas televisive sulla falsa riga di Bolle di sapone a echi estemporanei di The Truman Show con una trama centrale che pare ‘americanizzare’ in chiave contemporanea Lo sceicco bianco di Federico Fellini. Il marito di Betty è interpretato dall’attore feticcio di Labute, Aaron Eckhart. Girato nel 2000 è stato distribuito in Italia solo dopo il successo de “Il diario di Bridget Jones”. Pur essendo di gran lunga migliore della banale commediola con protagonisti, accanto alla Zellweger, anche Hugh Grant e Colin Firth, è passato del tutto inosservato.

Voto: 6/7

 

 

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