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Mon oncle d'Amerique

Regia di Alain Resnais vedi scheda film

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La recensione su Mon oncle d'Amerique

di alan smithee
8 stelle

Fuga, somatizzazione, aggressività: sono queste le tre caratteristiche dell’uomo moderno che colgono  colui che desidera primeggiare, e per tale motivo sfidare senza tregua e superare gli ostacoli sempre più impervi di una giungla di regole, dettami, convenzioni e burocrazie che regolano la società civile moderna. Siamo ad inizio anni ’80 e il rampantismo di una classe dirigenziale che vampirizzerà il mondo economico già coinvolto nei primi passi di una globalizzazione che induce alla standardizzazione se non alla mediocrità, travolgendolo e spostando la via del profitto da produzione a quello da finanza creativa, smodata e senza limiti, pervasa di cinismo e sopraffazione.

Un triangolo di personaggi a loro modo irresistibili, sofferenti, inquieti che servono ad un Alain Reisnais lucido ed impietoso di condurre un apologo etico-scientifico che prende spunto dai teoremi dello scienziato Henri Laborit (che partecipa al film con un cameo fondamentale) ove l’uomo è assimilato ad altre specie viventi (topi, cavie ed altri animali da laboratorio) nell’evidenziare le sue reazioni più cruciali e clamorose di cui la natura ci fa dono per salvaguardarci e proteggerci dalla tensione e dallo stress che ci colgono nelle sfide quotidiane, siano esse legate alla sopravvivenza materiale o a quella legata ad una carriera professionale.

Il direttore di un’azienda tessile René Ragueneu (Gerard Depardieu), tecnico specializzato divenuto manager grazie ad ambizione ed intuizioni pratiche che lo portano ad una ascesa irresistibile, ma pure altrettanto rapidamente ad una caduta rovinosa e subitanea; l’attrice irrisolta ed insoddisfatta Jeanine Garnier (Nicole Garcia), una vita spesa nel malinconico tentativo di realizzarsi senza tuttavia riuscire mai a sfondare; e ancora Jean Le Gall (Roger Pierre), uomo sposato di nobili origini, perso tra i fallimenti di una carriera nell’informazione e una svolta nella politica stentata ed incerta: un triangolo di passione, tormenti e sofferenze in cui prima o poi ognuno dei personaggi converge nelle vite degli altri due, nella continua lotta, sempre in salita, sempre più complessa, volta all’affermazione delle proprie ambizioni, dei propri sogni terreni, dei propri obiettivi.

A farne le spese prima di tutto parenti e familiari dei tre protagonisti, figure, quasi ombre in secondo piano che subiscono l’arroganza e l’egoismo di una intransigenza che li dà sempre per scontati, relegandoli ad oggetti di contorno.

Lucida, inflessibile e matematica riflessione sul logoramento prodotto dall’arrivismo e dal desiderio di primeggiare, che comporta tensioni costanti, malesseri e disturbi fin dolorosissimi e  destabilizzanti, il film di Reisnais si avvale di una voce narrante che ricorda e vuole apparire come il commento di un documentario ove la razza umana è perfettamente assimilata al resto della fauna, eternamente in lotta e conflitto con l’avverso ambiente esterno nella continua ed irriducibile lotta per la sopravvivenza di una specie sull’altra.

Uno studio rigoroso, scientifico e darwiniano sul comportamento dell’animale uomo, che si discosta dalle altre specie solo quando fa intervenire in suo soccorso il sogno, la fantasia, sotto forma ed in persona, questa volta, del fantomatico “zio d’America” che ognuno di noi sogna si materializzi ed esca fuori dal cassetto miracoloso dei nostri desideri.

Gerard Depardieu dolente e contenuto e una dolce, tenerissima Nicole Garcia, qui forse alla sua prova migliore d’attrice, sono il fiore all’occhiello di un film maturo, arguto ed evocativo degli anni cinici e logoranti che caratterizzeranno già da quegli anni rampanti, il faticoso cammino di una umanità  avida ed insaziabile, che non si placa mai al pari di una belva sazia, ma desidera crescere sempre di più a discapito degli avversari, distruggendo ricchezza e risorse attorno a sé anziché produrne di nuova o salvaguardare quella esistente.

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