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The Others

Regia di Alejandro Amenábar vedi scheda film

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stanley kubrick

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Others

di stanley kubrick
8 stelle

DIETRO LE PORTE CHIUSE  

"I mostri sono reali e anche i fantasmi sono reali. Vivono dentro di noi e, a volte, vincono" Stephen King  

Una magione intrappolata in un isola che non ha contatti con il mondo esterno, sembrerebbe di vedere Moloch di Aleksandr Sokurov, dove Adolf Hitler passeggava inquieto per i corridoi bui e senza una fine apparente. In quel film si prendeva di mira la distruzione del corpo umano attraverso i peccati a scopo nazista che il protagonista aveva commesso. In The Others, invece, quella villa che tutti sognerebbero per la sua grandezza, per il suo splendore estetico, per il suo infinito giardino verde, diventa pretesto per paure ancestrali che si racchiudono nel nostro subconscio e che se trovano luce possono portare alla pazzia. Anche il tempo nel quale si svolge la storia è strettamente legato con la pellicola di Sokurov, siamo nel 1945 e la seconda guerra mondiale sta per concludersi. Se in Moloch vediamo il capo di un intera nazione che comincia a indebolirsi, in The Others la guerra è la definizione della disgregazione familiare. Per tutta la prima parte del film, vediamo una Kidman (favolosa e bravissima) che comincia ad elaborare un lutto che sembra quasi definitivo, mentre i suoi figli la seguono a ruota, aspettando la notizia ufficiale. Quella lettera che dovrebbe arrivare da un momento all'altro sembra sotterrata insieme agli oggetti che si trovano nel sottotetto, ricopetri da un manto bianco che li traforma in fantasmi muti e solenni. La Kidman è rinchiusa in questo castello non solo per aspettare il marito, ma anche per proteggere i suoi due figli dalla loro allergia, la luce. La natura non esiste. Tutto è artificiale.

 Essere costretti a vivere in buio silenzioso significa allontanarsi dal mondo che c'è là fuori. I due bambini non hanno amici, se non gli intrusi che si aggirano per la casa oppure loro stessi, che giocano all'interno della loro cameretta ignari di quello che la madre sta passando con le tre persone che ha appena assunto. La notte è la porta di ogni paura umana, eppure è l'unico momento della giornata nel quale i bambini possono uscire fuori, dato che la luce della Luna non è assolutamente paragonabile a quella che emette il Sole, vera e propria stella.
 Le stelle e i pianeti li studiava Ipazia, nell'ultimo film del regista spagnolo, osservandoli per capire quale era il loro moto. In questo caso, da essi dipende la vita dei suoi figli, quelle tende attaccate alle finestre sono la ragione del loro vivere. La paura si esprime dentro lo spettatore anche nella scena dopo i titoli di testa (ottimi e ben disegnati), nel quale un urlo della Kidman ci fa trasalire e ricordare quello che uccideva gli uomini di Charles Crossley nel film L'Australiano di Jerzy Skolimowski. Ci sono tre personaggi che mi hanno colpito particolarmente, che sono quelli dei servitori. L'uomo anziano è il giardiniere che continua ad avere degli strani presentimenti, soprattutto dentro il suo corpo. La donna anziana è la badante della casa e dei figli, che sembra essere la più saggia dei tre. Infine, c'è la ragazza muta, che esprime le sue sensazioni attraverso i ricordi.

 Questi ultimi riaffiorano durante passeggiate in mezzo alla nebbia, persone che credevi aver perso tornano dopo una guerra che sembra infinita, ma che poi si trasformano in fantasmi quando sono all'interno della villa, con pietre tombali che racchiudono i loro movimenti da zombi. Manca il pater familias, colui che dovrebbe dare conforto alla situazione difficile in cui la famiglia sta vivendo. La sua figura, al momento del suo ritorno ammantato dalla nebbia, ricorda quella di un fantasma, uno di quelli delle storie terribili che la bambina più grande racconta al fratello più piccolo. La nebbia lo rende bianco mentre le catene che si porta dietro sono gli orrori della guerra appena combattuta, vista dalle sue retine che sembrano davvero incredule. Fare l'amore con la propria moglie significa farlo silenziosamente, con accenni all'horror gotico. Il momento del pasto, il gioco, la paura sono tutti momenti che Amenabàr racchiude dentro il filmico alla perfezione. Ci sono degli intrusi che si aggirano per casa. Disegni spaventosi che raffigurano demoni, intenti ad osservarti mentre osservi loro. Forse, il ricambiamento della prospettiva fa parte del loro scopo, mandare via da quella casa le persone e lasciare che i fantasmi prendono possesso della magione. Le discese infernali dantesche vengono evocate quando si legge il libro sacro, la Bibbia, perchè la Kidman continua ad impartire regole rigide da rispettare nei confronti del divino. I vari limbi a cui si accenna racchiudono bambini intrappolati come le persone decedute all'interno del Libro Dei Morti che la protagonista trova tra le scartoffie. Il girone dei Non Battezzati è quello che ricorre di più, queste creature sono spaventate e agiscono senza pensare.  Il passato è il più forte presentimento che si possa avvertire, un macabro rituale si svolge alla fine, ma siamo ancora nel presente.
 Il tempo sembra non passare mai, sembra infatti di stare in una di quelle cittadine sonnolente à la L'Uomo Del Treno, mentre il passato riaffiora. Tutti quei morti in quel libro sono surreali e vengono fatte vedere per spiegare quali atroci vicissitudini ci sono state nei tempi antichi tra le persone. Dietro le porte chiuse si celano misteri, ogni porta aperta deve essere seguita da una chiusura per il fatto della luce naturale. Il soffitto comincia a tremare, il lampadario a tintinnare. C'è molto Pupi Avati per la ricostruzione affettiva e onirica del finale, oltre che per le tombe che riaffiorano dal giardino.

I bambini sono la chiave di tutto, mentre i fantasmi si scoprono più vicini a noi di quanto si possa immaginare. Quei tre servitori diventano oscure presenze, ma soprattutto lucenti.  Si elabora ancora la teoria del cieco, già iniziata da Dario Argento e i suoi successori del thriller all'italiana. Amenabàr si ispira anche a loro per racchiudere nel finale una forza introspettiva e surreale impressionante, che da a The Others il titolo horror tra i più belli del decennio. Alla fine, quindi, neanche la luce può uccidere le persone pure, specialmente se sono rinchiuse e continuano a scacciare via i fantasmi (veri) che sono riaffiorati durante una seduta spiritica.
Credo che Martin Scorsese si sia ispirato a questo film per descrivere l'uccisione dei bambini, in Shutter Island infatti la madre li annega, qui li soffoca con cuscini. Ricordarsi di non dimenticare in modo da affrontare le paure che si hanno dentro, sembra questo quello che il film ci vuole ricordare. La luce ha ispirato, finalmente, vita pura.

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