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American Psycho

Regia di Mary Harron vedi scheda film

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La recensione su American Psycho

di chinaski
6 stelle

American Psycho è una black comedy che cerca di scavare all' interno delle schizofrenie di una società cosumista e edonistica. Per la precisone quella del periodo Reagan dell' America della fine degli anni '80. La faccia del presidente americano, in una delle ultime sequenze, diventa l' emblema e il simbolo del film stesso. A lui che ha una faccia da attore, una faccia buona come quella del protagonista, come potresti attribuirgli qualcosa di cattivo e malvagio?
Il film si interroga sulla figura dello yuppie, figura simbolo degli anni '80. Categoria di persone che hanno dedicato al lavoro l' intera vita perdendo sempre di più il contato con le emozioni, i sentimenti, con i rapporti umani. Categoria che ha messo tutta se stessa nella costruzione di un' immagine, di una maschera di bellezza e precisione. Capelli curati, fisico asciutto, ristoranti di classe. Tutti gli sforzi tesi per costruirsi una facciata hanno avuto come contraltare la perdita dell' umanità, intesa come il rapportarsi con gli altri. Si crea un' aridità speciale all' interno di queste persone. Il protagonista del film appare ossessionato dalla propria esteriorità quanto incapace di costruirsi una propria dimensione interiore. Nella sua anima si muovono pulsioni omicide, sadismo, incontrollata violenza. Questo orrore si dimena tra gli argini di una vita fatta di mille apparenze. Vestiti firmati, biglietti da visita, arredamento minimale. Anche quando confessa di essere uno psicopatico nessuno gli crede, quasi che si voglia dire che in fondo ognuna di quelle persone che frequentava poteva nascondere altrettanti indicibili segreti. Il film, però, non sembra del tutto compiuto. Ci sono spunti interessanti, c'è una critica anche feroce al sistema amricano, ma questo credo si debba più al libro (che non ho letto) che al film. Resta comunque una commedia agghiacciante e isterica che fa riflettere sul vuoto morale a cui i soldi possono portare. A come nella nostra società consumistica, l' uomo ponga negli oggetti il valore descrittivo e connotativo della propria personalità. Tu diventi i tuoi pantaloni, la tua giacca, il tuo taglio di capelli. In poche parole come dice Tyler Durden gli oggetti che possiedi alla fine ti possiedono. Il film ricorda Fight Club in alcune cose ma è molto lontano da quest' ultimo e dal romanzo che vi è alle spalle (che invece ho letto). E' assurdo come lungo un intero decennio i giovani si siano tuffati all' inseguimento di questo sogno del benessere e della prosperità. Nel film non c'è un rapporto che si possa definire autentico. Il sesso è vissuto o come perversione o come pura formalità carnale. O se volete, una svuotata di palle. Le amicizie sembrano più un obbligo lavorativo che una scelta della persone. Questa forse è la cosa che mette più paura. Non tanto la follia omicida del personaggio. Ma prorpio la omologazione ad un sistema di vita che vede nei soldi l' unico fine raggiungibile. L' atrocità dei delitti potrebbe essere una forma di ribellione ad questo sistema di cose disumano. Ma non è neanche questo. Perchè il protagonista uccide con la stessa disinvoltura con cui mangia i suoi piatti delicati nei ristoranti di classe. Il suo è una sorta di passatempo o forse è la manifestazione autentica di quello che tanti nascondono dietro una faccia senza rughe e con un sorriso dai denti smaglianti.

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