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Quasi famosi. Almost Famous

Regia di Cameron Crowe vedi scheda film

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La recensione su Quasi famosi. Almost Famous

di FilmTv Rivista
8 stelle

C’è aria da “Nashville” in giro; e aria da “American Graffiti”. Come eravamo e come non saremo mai più, con tenerezza critica e consapevolezza distante. Ma “Quasi famosi” non è un film sulla nostalgia dei “favolosi Settanta” (prima furono i Sessanta e tra un po’ saranno gli Ottanta e i Novanta), non tesse il rimpianto della giovinezza. È piuttosto un film sulla “coming of age”, sulla maturazione di un ragazzo e sulla consunzione di un sogno, il sogno del rock che libera l’anima e la testa, e che invece, piano piano, finisce per sottostare ai piccoli e grandi tradimenti delle convenzioni, alla fascinazione del mercato. C’è un personaggio del film di Cameron Crowe che ha già capito tutto: il critico Lester Bangs, misantropo e scontento, sempre chiuso in casa, che dà al giovane William i suoi consigli. Quello fondamentale («Devi farti una reputazione essendo soprattutto sincero e molto spietato»), quello storico («Sei arrivato in un momento pericoloso per il rock: la guerra è finita e hanno vinto loro»), quello esistenziale («L’unica moneta forte in questo mondo in bancarotta è ciò che scambi con un altro sfigato»). Nelle parole di Lester Bangs c’è tutto il senso del film, dall’euforia alla crescente disillusione, c’è la sensazione che, certo, hanno vinto loro, ma noi siamo ancora qua. Crowe ricorda, non solo la sua storia (quando nel ’73, quindicenne, si mise al seguito di un gruppo musicale per fare un reportage per “Rolling Stone”) ma anche la “sua” musica e il “suo” cinema, e ritrova la meraviglia di quel mondo, il ritmo di quelle assonanze, la cadenza impagabile di quelle immagini. Un film di due ore e due minuti che fugge via con una leggerezza e una ricchezza che abbiamo dimenticato: storie, volti, telefonate, tappe dell’Almost Famous Tour ’73 si intrecciano in un affresco che non cade mai nella maniera. L’autore agguanta un’immagine suggestiva (l’attacco di un concerto o una ragazza che balla da sola in una sala vuota), la incornicia, le dà spazio, ma subito l’abbandona. Non c’è un metro di pellicola sprecato in “Quasi famosi”, né una battuta, un sorriso, una lacrima. È il cinema come dovrebbe essere.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 19 del 2001

Autore: Emanuela Martini

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