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Gostanza da Libbiano

Regia di Paolo Benvenuti vedi scheda film

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La recensione su Gostanza da Libbiano

di steno79
8 stelle

Paolo Benvenuti è un regista appartato ed un purista dell’immagine: finora ha diretto pochi film, con scrupolo perfezionista e infischiandosene delle logiche di mercato. “Gostanza da Libbiano” è uno dei suoi film più rappresentativi e rievoca la vera storia di una contadina toscana sottoposta ad un processo per stregoneria dall’Inquisizione ecclesiastica e infine riconosciuta innocente. Benvenuti ci propone una parabola sulla libertà individuale posta di fronte agli abusi di un potere dispotico e repressivo rappresentato dalla Chiesa (e questa tematica non manca di parallelismi col mondo contemporaneo): la violenza atroce subita dalla donna con la tortura la spinge a dichiararsi veramente strega e ad inventare tutta una serie di avventure immaginarie con i diavoli per rivendicare una femminilità eversiva e anticonformista. Di grande risonanza nella tematica, il film è anche raffinatissimo nella veste formale con una fotografia in bianco e nero che richiama il Dreyer di “Dies Irae” e, secondo il Mereghetti, la pittura manierista cinquecentesca del Pontormo e del Bronzino. Eccellente anche l’interpretazione dell’attrice teatrale Lucia Poli, che regge con notevole intensità i frequenti primi piani ed è capace di modulare la sua voce su un’ampia gamma di sfumature timbriche; adeguati ai loro ruoli i pochi altri interpreti,  fra cui il vero sacerdote Valentino Davanzati che interpreta uno degli inquisitori. Tuttavia, dovendo esprimere una valutazione complessiva sul film, non me la sento di gridare al capolavoro come ha fatto una parte della critica: lo stile di Benvenuti è rigoroso ma molto esigente, a tratti pretende troppo dallo spettatore medio riservandogli lunghissime sequenze in cui non succede nulla in termini di azione e in cui tutto è affidato unicamente al dialogo, certamente affascinante, ma di cui molti dettagli non possono non sfuggire a chi non conosca approfonditamente i verbali del processo (ad esempio nell’interminabile primo piano di Lucia Poli di 7 minuti, senza stacchi, posto nella prima parte del film). In questo, sembra rifarsi soprattutto al “Processo di Giovanna d’Arco” di Robert Bresson, che non era a mio avviso uno dei film più appassionanti del maestro francese, né uno di quelli dove le risorse dell’immagine fossero sfruttate al massimo. Comunque, un film “difficile” ma senz’altro da vedere, che purtroppo ha circolato pochissimo; al festival di Locarno ha avuto una menzione speciale della giuria e non il Pardo d’Oro, come erroneamente segnalato dal Morandini.
voto 8/10

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