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L'ultimo bacio

Regia di Gabriele Muccino vedi scheda film

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La recensione su L'ultimo bacio

di LorCio
7 stelle

Carlo e Giulia aspettano un infante e sono in procinto di sposarsi. Quasi per sfuggire dalla ineluttabile abitudine alla quale è destinato, lui si incapriccia per una diciottenne bionda ed ammaliante che gli fa riassaporare la gioventù perduta. Intorno al menage a trois, amici e parenti in crisi esistenziale: Adriano che non sopporta più la petulante moglie e vorrebbe scappare con gli amici per la volta dell’Africa; Paolo che ha abbandonato il negozio di articoli sacri lasciatogli dal padre morente ed è ignorato dall’ex compagna; Marco che si è appena sposato; la madre di Giulia, Anna, che decide di lasciare il marito psicanalista e tenta il remake di un amore troncato tre anni prima. Lieta fine, ma le tentazioni sono sempre in agguato, o sono sempre state lì. È il terzo opus della carriera di Gabriele Muccino, che, dopo i tormenti adolescenziali di Ecco fatto e Come te nessuno mai (a tutt’oggi, ancora, il suo film migliore), cresce assieme ai suoi personaggi, ormai trentenni e già martoriati dal divenire delle cose. L’argomento topico di questo allarmante ed isterico ritratto corale e generazionale sta nella difficoltà di accettare la maturità: meglio crescere e prendersi le proprie responsabilità o continuare a vivere alla giornata ma con entusiasmo?

 

Muccino, che ha in sé le coordinate della commedia melodrammatica e sceglie di affrontare il privato dei suoi personaggi fregandosene del contesto (borghese, naturalmente), scrive bene con fluidità e coinvolgimento ed è pure un regista provetto che sa girare con abilità stando addosso ai suoi personaggi – ma una certa responsabilità va ascritta anche all’ottimo montatore Claudio Di Mauro. Se ne giovano assai la brava, ansiosa, inquieta Giovanna Mezzogiorno e la travolgente e labile cinquantenne Stefania Sandrelli nel più bel ruolo che le sia capitato negli ultimi anni (“sì, sono una pianta grassa con troppe spine! che cazzo vuol dire non lo so ma è esattamente quello che penso di te”). Tuttavia affiora una certa saccente superficialità nel credere di comprendere e raffigurare vizi (tanti) e virtù (quali?) del popolo italico attraverso un privato immolato alla commedia borghese: lo scarto tra una sorta di intimismo nervoso del direttore di attori e l’indifferenza nei confronti del circostante si risolve in un moralistico volemose bene in nome dei valori borghesi (compresa la fuga). Splendide le musiche di Paolo Buonvino, focosi violini che vibrano aggressivi ed avvolgenti, perfetta la canzone omonima che Carmen Consoli ha composto per l’occasione. Carlo e Giulia saranno anche i nomi dei protagonisti del successivo Ricordati di me.

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