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Deserto rosso

Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film

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Utente rimosso (signor joshua)

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Deserto rosso

di Utente rimosso (signor joshua)
8 stelle

Dietro alle facciate dei palazzi sgargianti e lussuosi, oltre alla potenza imperiosa dell'industria e delle fabbriche, nascosta da un alone di malignità, ma scoperta dalla sua inarrestabile fame di potere, la borghesia tira avanti le fila del mondo con perizia calligrafica, accaparrando quanto può, in attesa che il suo “Angelo sterminatore” giunga per distruggerla con una crisi che annienterebbe tutto quello che hanno costruito con il sudore degli altri. Ma aspettando tutto ciò, i tasselli che compongono la catena di montaggio del sistema capitalistico (controllato dai borghesi per i borghesi), si crogiolano nella loro apatia, vagando in giro per il mondo come fantasmi di persone mai esistite, disperate di essere felici, creatori della loro malignità e della loro stessa infelicità. Le dimensione in cui si svolge questa frivola vicenda(?) sono astratte, hanno pareti metalliche arrugginite, sono una trappola per tutti quelli come Giuliana, e come Corrado, infelici della loro felicità. Perché, il problema di Giuliana non esiste, l'incidente d'auto avrà causato pochi danni alla macchina e nulla più, ma non è la natura fisica dei danni a pesare: quella è stata l'inclinatura finale che ha distrutto le fondamenta, già corrose da anni ed anni di egoismo e di cupidigia, se non fosse stato quello sarebbe stato qualcos'altro, magari anche più stupido. Giuliana non è in grado di essere felice perché è una parte inattiva di un sistema che si morde la coda anno dopo anno, è la spettatrice passivamente attiva della decadenza del sistema politico mondiale di cui fanno parte suo marito e Corrado; il primo, illuso ed ipocrita, uno dei corruttori e dei corrotti, forse anche più cattivo di quello che vorrebbe far credere; il secondo, invece, capitalista misterioso, un personaggio emblematico, che a tratti sembra quasi una fantasia di Giuliana, ingigantito dalla sua malattia che non ha cura. Tutta la vicenda ruota intorno ad uno stato d'animo vuoto, distaccato, privo di qualsiasi tipo di emozioni, la vita di Giuliana si trasforma in una tomba che lentamente viene sotterrata da valanghe di nulla e di solitudine. L'interiorità e l'umanità di Giuliana, si trasformano in uno sconfinato, arido e soffocante deserto, incendiato dalla malvagità e dalla trasformazione delle emozioni in abitudini, della bontà in furbizia, dell'essere umano in macchina; in questo mondo infettato, non importante essere in Sud America, o nella bella Italietta, ogni luogo rappresenta la fine di una discesa nell'oblio e nel terrore di non essere e di non avere nulla, l'inferno tormentato con cui si conclude la terrificante catena di montaggio dell'economia capitalistica. In questo panorama apocalittico e silenzioso, ciò che annebbia la mente delle persone, fortificandone il disfacimento interiore, è il consumismo selvaggio, consentito da uno sfruttamento spropositato, e causa di un inquinamento putrescente, i governi plutocratici, fascisti e filo nazisti, si muovono in questo sistema ad orologeria macabro, che ha come facciata il benessere interessato (Bunuel), e come fondamenta la cultura della morte (Pasolini). Il deserto rosso ha coraggio, graffia, sorprende, inquieta, e fa trovare all'ermetismo di Antonioni, terreno fertile per far sviluppare la sua tematica classica, quella dell'incomunicabilità: il dolore, anzi, il fastidio latente di Giuliana, pian piano, scava dentro di lei, andando a formare un trauma che non può essere rimarginato dalla borghesia, una ferita interiore che è invisibile a tutti tranne che alla medesima, che in ogni caso, non riesce ad identificarla, sente qualcosa che cova ma non riesce a dargli un nome, e può soltanto soffrire e rimanerne vittima. L'opera di Antonioni, si inserisce in modo eccellente nel panorama cinematografico della critica alla borghesia, trova in Monica Vitti e in Richard Harris due protagonisti mastodontici, ed in Carlo Di Palma un direttore della fotografia semplicemente sublime. Certo però, c'è da dire che il film, almeno per come l'ho recepito io, superata la bellezza visiva, non possa essere considerato un vero e proprio capolavoro, almeno non in una visione chiara delle cose: resta infatti l'enigma della sequenza sulla spiaggia di Budelli, che in un contesto così chiuso, risulta quanto meno fuori luogo. Poi ci sono le tipiche caratteristiche del cinema di Antonioni che possono disturbare, tra cui, le più importanti sono certamente, la cripticità di certe sequenze, e l'eccessiva lentezza, ma fanno parte delle regole del gioco: se uno ci sta bene, altrimenti, non risulterà coinvolto dalla visione.

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