Regia di Bryan Singer vedi scheda film
“La mutazione è la chiave della nostra evoluzione”
La profonda voce fuori campo del prof. X pronuncia queste parole accompagnate dagli avveniristici titoli di testa che ricordano la struttura del Dna. Poi il film comincia dal passato.
Polonia 1944. Centinaia di ebrei vengono portati in un campo di concentramento. Un ragazzino viene brutalmente separato dai genitori. L’addio è straziante, ma il piccolo ebreo non è uno come tanti, è Eric Lensherr, il futuro Magneto, signore dei metalli e dei campi gravitazionali.
Nel ’44, travolto dalla disperazione, gli basta tendere la piccola mano verso il cancello che lo divide dalle persone che ama per distorcerlo e distruggerlo completamente prima di essere colpito da un soldato.
Un salto nel passato necessario e indispensabile per spiegare le ragioni di un vecchio che non crede nella pacifica convivenza tra umani e mutanti, che non ha dimenticato la sofferenza di quel giorno lontano, perché non vuole un altro numero tatuato sul braccio.
Nel presente, in un altro luogo, un’altra mano, altre mani guantate: quelle di un’adolescente sola e confusa, a cui basta una carezza o un bacio per uccidere qualsiasi persona. Un altro dolore, un’altra enorme sofferenza e la frustrazione di non poter sfiorare neanche chi ama.
Rogue è destinata alla solitudine, una malinconica che si imbatte, quasi per caso, in un’altra creatura come lei, con le mani altrettanto letali, da cui escono, procurando ogni volta uno squarcio, terribili artigli.
“Quando vengono fuori, ti fa male?” chiede Rogue a polverine, “Tutte le volte” risponde lui con un’ombra nello sguardo.
Due solitudini che si incontrano, che si capiscono, che provano pietà l’una per l’ altro.
La storia è raccontata attraverso lo sguardo e le emozioni di questi tre personaggi, tre mutanti simbolo dell’universo degli X-Men, i più conosciuti, ma anche i più controversi, ambigui, sofferti. Ognuno di loro farà scelte diverse, Magneto sceglie la via dell’odio, della guerra e della violenza; Polverine, che non ricorda il proprio passato, accetta di collaborare con Tempesta, Ciclope, Jean Grey e il prof X per trovare le risposte che cerca; Rogue riceve l’amore e la comprensione di cui aveva tanto bisogno e resta nella scuola per giovani dotati, piena di ragazzi come lei, ma, nonostante ciò, rimane chiusa nel suo isolamento, tutti si fanno da parte al suo passaggio, e la sua condanna, dover toccare il mondo attraverso un velo di stoffa continua a perseguitarla, alleviata soltanto dallo scintillio di una piccola rosa di ghiaccio.
La scelta di Singer di focalizzare l’attenzione su Rogue e Wolverine si è dimostrata efficace, così come è perfetta la ricostruzione del mondo cupo dei mutanti Marvel, un mondo razzista e intollerante nei confronti di chi è diverso, che viene considerato come una terribile minaccia.
I mutanti sono esseri superiori, precursori di una nuova razza( o forse solo anomalie genetiche), che sono però costretti a vivere nell’ombra, nella paura, nella consapevolezza di essere degli emarginati, temuti ed odiati dal resto dell’umanità che da sempre guarda con diffidenza ciò che non riesce a spiegarsi, e vuole solo schiacciarlo.
Purtroppo, però, il fascino e le emozioni ci sono solo nella prima parte, dopodichè il film perde forza e si assiste alla spettacolare ma vuota esibizione di strabilianti effetti speciali, che finiscono per soffocare soprattutto i personaggi, alcuni dei quali non hanno il giusto spessore psicologico e il giusto spazio. Figure interessanti come Ciclope e anche la stessa Tempesta restano relegate nell’ombra. Ciò che rimane alla fina è un senso di lavoro incompiuto, in sospeso….. Pienamente colmato dall’avvincente sequel.
Perfetto nel ruolo di Wolverine, istintivo, brutale, animalesco.
Che sia su un personaggio shakespeariano o uno dei fumetti,è sempre impeccabile.
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