Regia di Pier Paolo Pasolini vedi scheda film
Forse il più il più letterario tra i film di Pasolini. Sovraccarico, compiuto e stucchevole. Il crimine è assurdo e insostenibile non perché semplicemente mostrato, ma perché declinato nelle cause formali della bellezza e dello stupore. Il male non è mai tragico, ma geometricamente sovrano, muto, applicato nelle sue forme supreme con esattezza ieratica, esperito come assoluto, totale, puntuale e squisito come una bella frase. E la messa in scena di questo crimine non cessa mai di cretinizzarci (Lautréamont docet), ora prendendo le forme del comico, della risata slabbrata - quella delle prostitute - ora giocando a straniarci con interferenze musicali in ogni caso disgiunte e ironiche, che a volte sembrano sottrarsi alla temporalità filmica offrendosi come dato significante e meta-linguistico (alla maniera di colonna sonora, per intenderci) per poi dichiararsi come connaturate nella materialità carnale della messa in scena, e quindi organiche, intestine e complici dell’ aberrazione. Vedi ad esempio gli ultimi istanti, quelli delle torture cui i gerarchi assistono dal balcone. I Carmina Burana risuonano cupi, tendono il tempo dello strazio e sembrano abbracciare la visione in un unico, assoluto monito d’angoscia. In realtà si tratta del disco che i gerarchi stessi avevano scelto, a mo’ di - questa volta sì - loro personale colonna sonora. Il male è davvero totale, e riempie tutti gli spazi, gremisce le strutture dell’umano intendimento, investe la forma, così come la materia.
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