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Accordi & disaccordi

Regia di Woody Allen vedi scheda film

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La recensione su Accordi & disaccordi

di LorCio
8 stelle

Sulla scia di Zelig, si è detto, nel suo indagare sulla vita fasulla di un personaggio verosimilmente irreale. Ma non è un accostamento azzeccatissimo, così come non lo è con Prendi i soldi e scappa. Se lì c’era quasi la simbiosi tra interprete e personaggio, una sorta di falsa autobiografia – meglio ancora un autoritratto traviato – mediante le quali Allen esorcizzava se stesso per, citando Battiato, “capire meglio le mie radici”, qui si avverte maggiore distacco nella rappresentazione della parabola umana, ma, forse, molta più acida tenerezza nel disegnarla.

 

 

Leonard Zelig andava stretto a Woody, ed infatti cercava di espiare sé stesso da quel corpo, non riuscendoci, attestando così la sconfitta dell’uomo schiavo non di quel che vorrebbe essere ma di quel che è, malgrado tutto. Emmet Rey, invece, è un’altra cosa. Innanzitutto non è Allen, che si ritaglia la parte di semplice testimone, una persona informata dei fatti, ma è Sean Penn, più giovane, maliardo e brigante rispetto al registattore (accanto al divo, una Samantha Morton che commuove e giganteggia non di rado).

 

 

Emmet condivide con Allen il senso di inferiorità nei confronti del mondo oscurato dall’apparenza di sbruffona boria, la buffa, dilettantesca (in)esperienza del vivere normale, la ricerca della stabilità in un mondo votato all’incertezza e all’incomprensione del genio folle. È un personaggio insopportabile, ma scava scava ti è pure simpatico. Si fa perdonare perché suona la chitarra come Chet Baker suonava la tromba dopo essersi fatto di eroina.

 

 

Grande narratore di giganti marginali, Allen lo compatisce, in fondo vorrebbe essere come lui, ma sa che non lo è stato e mai lo sarà (congenita formazione). L’atmosfera infonde un elegante brio, l’andamento sprinta non di rado verso il paradosso, la struttura ad inchiesta coinvolge. Un jazz malinconico e delizioso, non privo, qua e là, di un’agrodolce inquietudine, è il prodotto squinternato di un regista che vive una realtà parallela (al punto di immergersi anche cinematograficamente parlando) e contemporaneamente ha i piedi ben saldati in questa terra dotata fin troppo di burattini senza fili.

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