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La lingua del Santo

Regia di Carlo Mazzacurati vedi scheda film

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La recensione su La lingua del Santo

di maso
7 stelle

Mazzacurati, padovano puro sangue, ambienta nella sua città e dintorni la storia di due losers nostrani alla fatidica soglia dei quaranta calendari con i quali mi torna facile condividere sogni e bisogni avendo proprio di recente visitato Padova, essendo anche io prossimo alle quattro decine ed avendo l'ambizione di essere normale come era Willy prima del rovescio esistenziale o più che altro normale come Antonio dopo anni di arrangiamenti con lavori lampo estemporanei tanto quanto le sue alzate dalla panchina semplicemente per trasformare i piazzati a rugby.

Padova è città di grande ricchezza economica e benessere, quando ci andai notai come gli extracomunitari erano più eleganti e alla moda della gente comune delle mie parti, lo stesso Willy sottolinea che ha un fatturato annuo superiore al Portogallo ma se non hai i soldi.......

Tutto ciò sembra a distanza di anni un triste presagio per i figli di questa Italia che fattura meno di un pappagallo e la condizione dei due protagonisti è più che mai di attualità.

Antonio e Willy mettono insieme le proprie forze da ladri dilettanti per sopravvivere all'incapacità di mantenersi e mantenersi con un lavoro: per il primo a causa del suo carattere un po' folle che non gli permette di diventare un ingranaggio umano, per l’altro l'impossibilità di superare il trauma dell'abbandono della moglie che gli ha causato un mutismo catatonico davanti ai suoi clienti con conseguente perdita del lavoro di rappresentanza.

Albanese è perfetto nell’esprimere la malsana pazzia del suo agire che nasconde però una sincera sensibilità, tutto l’opposto di Bentivoglio che appare sconfitto nell’anima e incapace di risalire in sella ma in realtà anche lui nasconde una punta di pazzia per come si comporta, chiaro sintomo di disperazione che gli permette di andare sopra la momentanea apprensione per aver rubato qualcosa di troppo grosso.

La reliquia della lingua di sant’Antonio patrono di Padova, racchiusa in un busto d’oro e pietre preziose nella basilica, viene trafugata da Willy e Antonio quasi per mistica rivelazione, la religione così presente nella credenza comune ma sempre effimera nel suo manifestarsi è questa volta qualcosa di tangibile per gli outcast di Mazzacurati che si ritrovano a poter capovolgere la loro miserabile esistenza chiedendo un lauto riscatto ma rubare non è rapire e per catturare il denaro incontreranno non poche difficoltà.

La prima parte urbana nella ricca Padova si contrappone ad una seconda più periferica, legate insieme da una vena malinconica che da poche chance alla speranza, ai decaduti con passaporto italiano si affiancano gli zingari che paradossalmente sono più rispettosi di sant’Antonio dei nostri eroi e gli extracomunitari che da circa un ventennio rappresentano il lato oscuro della nostra società ma il tutto sembra pian piano capovolgersi, non è un caso che Willy ha un’illuminazione di insospettabilità dopo aver attraversato un strada notturna piena di stranieri perquisiti, in realtà quelle facce nere compariranno come degli angeli silenziosi nella grotta rifugio di Willy a Antonio che sembrano aver invertito con loro i ruoli di malviventi per imposizione e disoccupati per svogliatezza e discriminazione.

La progressiva fuga dal mondo civilizzato tocca prima la campagna con i suoi boschi disabitati ma ancora saldi sul terreno e poi la laguna, simbolo di deriva per Willy che si sente a suo agio in un terreno amico dove affondare i pensieri di quel passato in perfetto equilibrio con sua moglie e un bel lavoro che non ci sono più ma che in fondo al cuore crede di poter ristabilire.

Mazzacurati alterna la sua abituale regia asciutta tipica del miglior Moretti con qualche trovata di piacevole inventiva nelle allucinazioni di Willy e Antonio o nella sequenza del riscatto notturno vista da un cannocchiale che scatta ogni trenta secondi, sfrutta al meglio le locations e i due protagonisti in gran spolvero selezionati con intelligenza perché su Bentivoglio si va quasi sempre sul sicuro mentre Albanese se fa le sue cose meglio non parlarne ma in mano a qualche regista capace  può essere davvero bravo come in questo caso.

Un po’ macchinoso il ritmo della storia che poteva essere più avvincente e serrata e meno sensibilista, anche perché pur essendo raccontata dal punto di vista di Willy trascura un po’ troppo il passato della moglie Patrizia, che sembra essere la sua vera dannazione, e si concentra molto di più sul viscido attuale marito di lei.

Non lo si può classificare nel genere commedia perché le risate sono abbastanza disperate, forse ci sta bene il termine MALINCOMICO ma anche CAPER all’italiana ed è per questo che va considerato uno dei più belli di Mazzacurati proprio per la insolita e riuscita fusione di generi.

 

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