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Rosetta

Regia di Luc Dardenne, Jean-Pierre Dardenne vedi scheda film

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FABIO1971

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Rosetta

di FABIO1971
10 stelle

"Ti chiami Rosetta. Io mi chiamo Rosetta. Tu hai trovato un lavoro. Io ho trovato un lavoro. Tu hai trovato un amico. Io ho trovato un amico. Tu hai una vita normale. Io ho una vita normale. Tu non finirai in un buco nero. Io non finirò in un buco nero. Buonanotte. Buonanotte".
[Émilie Dequenne]

Rosetta (Émilie Dequenne) ha perso il lavoro ed è disperata: i brevi, incalzanti piani sequenza con la macchina da presa a spalla dell'incipit la seguono mentre, furibonda, si aggira per i corridoi e le sale della fabbrica, finchè le guardie del servizio di sorveglianza non riescono a bloccarla e ad arginarne l'irruenza. Si calma, sale su un autobus e torna a casa, una roulotte in un campeggio, dove vive con sua madre (Anne Yernaux), una donna disperata, schiava dell'alcool e della dissoluzione. Rosetta, invece, che ha temprato in un'esistenza di privazioni e sofferenze la propria forza d'animo e l'energica risolutezza che la anima, non si arrende mai: è incapace soltanto di separarsi dai suoi stivali di gomma e, nonostante gli atroci dolori al ventre che la affliggono continuamente, si arrangia vendendo vestiti usati, cerca di strappare qualche commissione occasionale nei negozi della città e litiga perennemente con sua madre, che "pensa solo a bere o a scopare". Trova lavoro in un panificio e conosce un ragazzo, Riquet (Fabrizio Rongione), mentre sua madre la abbandona improvvisamente, fuggendo chissà dove pur di non venire rinchiusa in clinica per disintossicarsi dall'alcool. È Riquet ad avvicinarsi a Rosetta, proprio ora che è rimasta sola: è l'unico, infatti, a trasmetterle un minimo di calore umano e a trattarla con gentilezza ed è l'unico, soprattutto, che riesce a strapparle qualche sorriso. Lavora per lo stesso padrone (Olivier Gourmet) di Rosetta (solo che sfrutta il suo furgone ambulante per vendere di nascosto i dolci che prepara a casa), suona la batteria in una piccola band, le fa ascoltare le registrazioni delle sue esercitazioni musicali e le insegna anche a ballare, vincendo ben presto la timidezza e la diffidenza della ragazza, che, travolta dalla piega imprevista degli eventi, stenta quasi a credere a quello che le sta accadendo: ha trovato finalmente un lavoro, un amico, una vita normale. Poi, però, dopo pochi giorni, il gestore del forno la sostituisce improvvisamente con suo figlio e la licenzia: non le chiude del tutto, però, le porte in faccia, perchè le promette che, appena si libererà un altro posto, la assumerà immediatamente. Ma a Rosetta non basta, pretende un "lavoro vero". Quando Riquet cade nelle acque del fiume, lei vorrebbe lasciarlo annegare: l'esitazione è segnale evidente della sua disperazione e pur decidendo alla fine di soccorrerlo, salvandogli la vita, denuncia ugualmente le sue truffe al padrone del forno. Stavolta è Riquet, furibondo per essere stato tradito, a venire cacciato dal lavoro ed è Rosetta a prendere il suo posto. Neanche adesso, però, ha la possibilità di goderne: sua madre, infatti, piomba a casa completamente ubriaca. Rosetta la ritrova accasciata davanti all'ingresso della roulotte e, costretta nuovamente a rinunciare ad ogni illusoria aspirazione di stabilità, telefona al suo principale e si licenzia. Ormai ne ha abbastanza: torna nella roulotte, apre il gas e si sdraia sul letto. La bombola, però, è esaurita: esce subito a comprarne una nuova dal guardiano del campeggio (Bernard Marbaix) e incontra Riquet, che prima la infastidisce e poi, quando Rosetta scoppia a piangere dopo essere scivolata in terra per il peso della bombola, la aiuta a rialzarsi. Rosetta lo guarda...
La fierezza di sguardo del cinema di Jean-Pierre e Luc Dardenne, cinema del pedinamento, della macchina da presa (a spalla) in perenne movimento, del piano sequenza, trova in Rosetta, quarto lungometraggio dopo il precedente, splendido La promesse (1996) e una ventennale carriera documentaristica, l'opera della svolta: presentato al Festival di Cannes (con David Cronenberg presidente della giuria) e vincitore della Palma d'Oro (assegnata anche alla sorprendente Émilie Dequenne, premiata ex aequo con la protagonista di L'umanità di Dumont), magnificamente fotografato da Alain Marcoen, il film dei Dardenne, magistralmente orchestrato sulla contrapposizione drammaturgica tra cronaca di una disperazione quotidiana e conte moraux, è un viaggio impetuoso e agghiacciante nell'ingiustizia sociale più drammatica del (non) vivere moderno. Senza un lavoro, Rosetta, emarginata e devastata da una vita di privazioni, braccata fino all'esasperazione dalla macchina da presa per lasciar rimbombare ogni suo respiro nella coscienza dello spettatore, sopravvive nel terrore di "finire in un buco nero", di non poter godere di un'esistenza "normale", di fallire come sua madre. Le lacrime di Rosetta lasciano senza scampo e indignano il cuore, le sue sconfitte scatenano la rabbia: e così, mentre la commozione implode nella frustrazione dello sconforto, il cammino di Rosetta diviene trasfigurazione della via crucis di un'inaccettabile precarietà sociale. Capolavoro, una gemma di cristallina limpidezza: raramente la necessità del diritto al lavoro per la dignità dell'uomo è stata ribadita con tale intensità emotiva e con grida così accorate e dolenti.

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