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Il fantasma

Regia di João Pedro Rodrigues vedi scheda film

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La recensione su Il fantasma

di OGM
8 stelle

Nel 1948, un Michelangelo Antonioni ancora alle prime armi realizza, per la televisione, un breve documentario televisivo intitolato Nettezza urbana, ambientato a Roma, e dedicato alla vita di quelli che oggi chiamiamo operatori ecologici. Il commento della voce fuori campo inizia con queste parole:

 

Nel corso di una giornata, molta gente, molte cose e lavori si sfiorano, che sembrano consueti e noti, e di cui si sa invece ben poco. Quel poco soltanto che sta a diretto contatto con la vita e gli interessi di ciascuno di noi. Tutto il resto ci è estraneo. Chi siano, e come vivano gli spazzini, questi umili e taciturni lavoratori che nessuno degna di uno sguardo o di una parola, sembra non ci riguardi. Gli spazzini fanno parte della città come qualcosa di inanimato ...

 

Sergio, nella Lisbona dei giorni nostri, è uno di loro. Un individuo anonimo, di cui non tenere conto.  Per professione è addetto alla pulizia della città, ma per vocazione è un diverso, e, in quanto tale, agli occhi del mondo, produce e si nutre di sporcizia. Come un topo di fogna, è disprezzabile e invisibile. Sfoga le sue perversioni indossando una tuta nera, e, come il suo cane Lorde, è disposto ad umiliarsi oltre ogni limite, frugando nell’immondizia, bevendo acqua di pozzanghera. Questa è la faccia in ombra della sua personalità, che è spiccatamente improntata all’istinto nella vita sociale (soprattutto nel suo rapporto con la collega Fátima), e che, nell’intimità (che per lui significa quasi sempre solitudine), è intrisa di una bestialità repressa, che non riesce ad essere veramente violenta, e si limita a guardare, desiderare, inseguire, immaginare di possedere. Il suo mestiere lo vuole raccoglitore di rifiuti, delle cose di cui la gente, dopo averle usate, e magari amate, si vuole disfare. Ed egli è, in effetti, in senso metaforico, il  collettore delle scorie delle altrui passioni inconfessabili, che attraverso di lui scolano una volta che sono state consumate. A lui toccano i residui di ciò che per altri è parto delle viscere, amore profondo, desiderio intenso: una vita familiare, la relazione con una donna, una bella moto. Sergio conosce l’odore dell’impulso, ma non sa dargli una forma, perché a lui arriva già spolpato, come un oggetto vecchio. Nei suoi sogni lui non è il protagonista, ma solo una comparsa, che, per un attimo, si mette al servizio di una scena, e poi si fa da parte. La sua storia è composta di singoli frammenti, di immagini rubate, di incursioni notturne, di momentanei piaceri clandestini: una caotica successione di attimi in cui Sergio assapora qualcosa che non gli potrà mai appartenere. È come se quell’uomo, davvero, mancasse di una carne a cui far aderire la sostanza delle emozioni, di un corpo che conferisse consistenza e continuità agli eventi che si trova ad attraversare. Nella dimensione dei sensi egli si aggira, di fatto, come uno spettro immateriale, incapace di afferrare ciò verso cui cerca di tendere la mano. È un fantasma emarginato anche rispetto alle sue stesse pulsioni: è tutt’uno con la sua frustrazione che si fa ossessione inconcludente, che fugge senza meta, senza riuscire ad arrivare, né a sparire. João Pedro Rodrigues lo colloca in un universo buio e silenzioso, indistinto come un gioco d’ombre, reticente come chi non disponga di parole adeguate a comunicare ciò che prova. In O fantasma la provocazione non risiede nel suo carattere “esplicito”, bensì nel suo contrario: la trasgressione, in questo film, appare infatti inquieta ed incompiuta. Non è creativa, né perversa, bensì indefinibile, sfuggente come  un eros che  vada ramingo per il mondo, alla disperata ricerca di qualcosa di concreto su cui posarsi, e trovare finalmente pace.

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