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Ratcatcher

Regia di Lynne Ramsay vedi scheda film

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La recensione su Ratcatcher

di OGM
8 stelle

Nessun messaggio sociale. Solo un ritratto d’ambiente. Che suscita una sensazione di prurito in tutto il corpo. La quotidianità del piccolo James Gillespie, abitante in un sobborgo della Glasgow degli anni 70, è compagna dei cumuli di rifiuti, di un canale putrido e dei pidocchi. Il suo quartiere, a causa del prolungato sciopero degli addetti alla nettezza urbana, si trasforma in una discarica, che è come lo squallido mausoleo della civiltà dimenticata. Basta che la desolazione interiore venga in superficie, perché il mondo cosiddetto evoluto assomigli a quello del sottosviluppo. Per strada, i ragazzi giocano tra i sacchetti della spazzatura, in mezzo  ai quali scorrazzano enormi topi. Anche con questi ultimi ci si può divertire, e magari inseguire sogni da favola, in cui una di quelle bestiole vola in cielo, appesa per la coda ad un palloncino rosso. È l’effetto dell’agghiacciante spirito di adattamento della fantasia, che, all’occorrenza, ha il coraggio di tuffarsi anche nella sporcizia. In questo modo, senza rendersene conto, un bambino perde l’innocenza. Diventa cacciatore di ratti (un compito che spetterebbe a forze professionali specializzate) ed anticipa l’età adulta col sesso e con l’omicidio, nell’incoscienza totale, che preserva l’anima da ogni senso di colpa. L’infanzia è il mondo selvaggio e primordiale, che conosce le regole della sopravvivenza, non quelle che distinguono il bene dal male. Si fa la lotta, si vince e si perde, si è dominatori o dominati, in un gruppo che costituisce un mondo a sé, refrattario alle norme vigenti in quello dei grandi. Nella piccola comunità, chiusa ed emarginata, a cui appartiene James, i genitori amministrano la  vita dei figli, ma non svolgono una vera e propria opera di educazione. Li seguono, ma non li proteggono, curano i loro mali, ma sono incapaci di prevenirli. Così i ragazzini sbagliano e non si ravvedono, si  infestano nel sudiciume fisico e morale,  possono perfino morire o uccidere, ma i problemi che li preoccupano sono altri: i propri vizi, il denaro che non c’è, le aspettative che non si avverano. Ai loro ragazzi sanno solo dare ciò che questi non desiderano: scarpe troppo grandi o troppo piccole, canzoni della loro epoca che non piacciono alle nuove generazioni,  telecronache sportive che interrompono i cartoni animati. Le loro aspirazioni deluse si fanno nostalgia, una barriera che impedisce loro di vedere con chiarezza il presente che hanno sotto gli occhi. I più giovani, per contro, riescono a guardare al futuro che non c’è (ancora): quello dell’appartamento promesso dal comune alla famiglia di James, e mai assegnato, e quello immaginato dal suo amico Kenny, un’epoca favolosa in cui il suo topolino Snowball ed i suoi simili colonizzeranno la Luna. In Ratcatcher Lynne Ramsay dipinge un microcosmo dall’odore sgradevole, che sa di abbandono, ma pullula di fertilità:  i più piccoli ignorano il degrado, sguazzano nel fango pensando alla felicità, che ha le sembianze di un grosso pesce da catturare col retino o di un campo incolto da attraversare di corsa. Dalla loro prospettiva nulla è brutto, e tutto è perfetto, dato che anche i padri egoisti ed ubriaconi ricevono le medaglie degli eroi; a quell’età è troppo presto per accorgersi che quel tutto di cui sono riempiti i giorni è tragicamente affacciato sul vuoto.

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