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Dillinger è morto

Regia di Marco Ferreri vedi scheda film

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Marcello del Campo

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La recensione su Dillinger è morto

di Marcello del Campo
10 stelle

A mio parere Dillinger è morto è il miglior film italiano) degli anni Sessanta e oltre: l’indagine sul malessere esistenziale tocca vertici raramente raggiunti. Il film è una prodigiosa, implacabile, ricognizione esistenziale sui segni della civiltà moderna, non solo l'alienazione di Antonioni, ma l'alienazione fin dentro le merci. Visto oggi è ancora più moderno e profetico, in parole povere Ferreri ci dà la rappresentazione di un uomo alienato nella professione, nella vita di coppia,  un uomo solo che attonito, straniato da tutti, è immerso nei ricordi (i filmini famigliari), negli intingoli, le casseruole. Mentre in Zabriskie Point gli oggetti della civiltà dei consumi deflagrano sulle note di Set the Control dei Pink Floyd, in questo mirabile art/film, le merci restano e l'uomo raggiunge un veliero che lo porterà lontano, praticamente un miraggio.

Lucidissimo e sconsolato saggio su les choses che Sartre prima e Perec in seguito hanno indagato, il film si presta a molteplici letture, altre interpretazioni, essendo le opere migliori polisemiche: io vi ho trovato l'alienazione in senso marxiano, altri la reificazione e la gratuità di un'esistenza vuota di senso, altri il regesto dei miti e i riti della società dei consumi statu nascenti, altri ancora un'esposizione pop come la massaia con i bigodini al supermarket di Segal; sono tutte decrittazioni valide, nessuna prepotente rispetto alle altre, ma tutte in concorso parlano di "quel film" e allo spettatore "quel film" comunica un'angoscia senza pari, quale che sia il messaggio nella bottiglia, perché tutte le interpretazioni sono, infine, univoche nel tracciare una mappa emozionale del mondo allora (nel 1968) e di oggi.

L'opera si libera dal creatore e parla nel tempo, comunicando un disagio diverso da quello del passato, ma sempre più disagiato, adatto ai tempi oscuri nei quali viviamo e nei quali le cose soggiogano gli uomini in forma di pubblicità (ma già in Ferreri) a dosi massicce. Charlot può, quindi, tranquillamente danzare con il mappamondo tra le mani, non è più Hitler l'oggetto crudele della pantomima, ma di simili a quello è facile trovare l'uguale nel mondo globalizzato, il fascismo è sempre in agguato, aspetta solo che le masse ipnotizzate (vedi Mario e il Mago di Thomas Mann, Metropolis di Fritz Lang, tutto l’espressionismo tedesco) abbassino la guardia.

 Intanto si fanno le prove generali (La zona), si auspicano le ronde, qualche straniero rischia il linciaggio, si brucia per "noia" un malcapitato ed è già una mini-Kristallnacht, tanto per presagire falò futuri.

Ma les choses che appartengono al nostro discorso sono “gli oggetti della nostra vita quotidiana!”, le cose che ci danno il piacere estetico e ci commuovono (Sunt lacrymae rerum), les choses di Sartre e les choses di George Perec o di Robbe-Grillet, le “cose” a noi più prossime, le cose che ci rappresentano, che amiamo, che ci fanno ricordare (in ciascuna cosa ci siamo noi con la nostra vita), - non è secondario un libricino di Perec dal semplice titolo Mi ricordo (Ediz. Boringhieri) nel quale l’autore della Casa, istruzioni per l’uso (Ediz. Rizzoli) annota diligentemente brevi frammenti della sua vita, dall’apparente scarsissima importanza, cose come “Mi ricordo quando feci la comunione…”, “Mi ricordo il giorno in cui…”; sembrano inezie in confronto al biblico “Ricordo il primo albatro che vidi…” di Ismael in Moby Dick o l’incipit della Récherche: “Per molto tempo mi sono coricato presto la sera…”, eppure quest’ultima frase, pure nella sua magnitudo, è di una familiarità simile a quella di Perec o, per stare ai nostri giorni e ai nostri amori a Ricordi, sbocciavan le viole di Fabrizio De Andrè.

Da queste “cose” affiorano i ricordi, ma nel film di Ferreri le “cose” sono morte e con esse i ricordi e le persone. La salvezza è nel mito, quello moderno della libertà assoluta di Dillinger e il mito di Ulisse, rovesciato nell’omicidio della moglie (Penelope che tesse noia e ingoia psicofarmaci) da parte  del protagonista e la ripresa del viaggio al contrario verso una meta indefinita e illusoria.

 

 

La colonna sonora

Grande musicista, poco noto ma di immenso talento, Teo Usuelli compone un samba irresistibile che percorre tutto il film e condisce i momenti morti con molti hit di quegli anni. Bellissima evocativa soundtrack.

 

https://www.youtube.com/watch?v=xAkmsE39zwM

 

 

Marco Ferreri

Precisa, fenomenologica, è evidente l'influenza dell'"école du regard" del "nouveau roman" di Michel Butor e Alain Robbe-Grillet. 

 

Michel Piccoli

Michel Piccoli, oltre che un grande interprete è un intellettuale che in questo film, come in quelli di Buñuel, Rivette, Chabrol, offre un ritratto memorabile dell'uomo alienato.  

 

 

Anita Pallenberg

Bellezza statica nel letto che è già sudario.

 

Annie Girardot

Indimenticabile nella scena in cui si cosparge il corpo di miele per eccitare un Michel Piccoli demotivato e annoiato.   

 

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