Regia di Peter Greenaway vedi scheda film
Una zeta. Due zeri. Simmetria paranoide e sparizione dei corpi. Tutte le ossessioni del regista britannico vengono qui rappresentate, con straordinaria eleganza formale, in una fiera d'immagini pittoriche, moduli architettonici finemente iconografici, suggestioni darwiniane, sciarade linguistiche ed echi ballardiani. L'impianto (anti)narrativo è modellato, come sempre in Greenaway, sulla base di codici rappresentativi matematici, tassonomici, geometrici ed alfabetici. A-nalisi, B-isogno, C-onsunzione, D-ilatazione dei tessuti e suo contrario. Lo scorrere del tempo, e dei tempi, è il binario morente ma senza fine lungo il quale Greenaway si diletta a spiare i processi biologici. Azione e reazione, putrefazione della materia, tridimensionalità negata(si) e diversi livelli cognitivi posti a confronto. Nei quadri greenawayani l'organicità caduca dell'individuo è scomposta, prima ancora che de-composta, è frazionata e moltiplicata, è sottrata ed addizionata. Il risultato dell'equazione non è giusto nè errato. Semplicemente, manca. La polifonìa studiata ed arrembante così come gli eccessi barocchi d'una scelta scenografica che mette in primo piano il Contesto, gli arredi, il divenire, i flussi di tempo e di materia, lasciando sullo sfondo gli esseri umani, comparse inessenziali d'un reportàge sull'Assenza, risultano, per una volta, assolutamente NON funzionali alla dimostrazione di alcun assunto. Essi acquistano dignità autonoma, rivendicando il ruolo di protagonisti indiscussi d'un'opera che non ambisce ad attribuire alcuna 'valenza' pedagogica o sociale a quanto rappresenta. E' cinema che testimonia, secondo codici espressivi riconoscibilissimi, l'assoluto primato dell'Estetica su ogni altro aspetto dell'esperienza cognitiva e cogitativa. E' il Cinema del miglior Peter Greenaway, un autore capace di dipingere sordità e cecità attraverso suoni ed immagini di rara suggestione. Non è poco.
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