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Magnolia

Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film

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La recensione su Magnolia

di ed wood
10 stelle

Capolavoro del cinema USA contemporaneo. Uno dei più grandi film degli ultimi 30 anni, di quei pochi che si meritano tutte e 5 le stellette. P.T. Anderson dimostra di essere uno dei pochi Autori statunitensi rimasti, per tutta una serie di ragioni: pensa in grande; sa tradurre ambiziose idee di cinema in immagini di rara espressività; raggiunge l'eccellenza sia come sceneggiatore sia come regista; ma soprattutto, offre una chiave di lettura personale, non omologata nè prevedibile, allo stato delle cose nell'America di oggi (e di ieri). Ha insomma qualcosa di pregnante da dire (quella "poetica" che manca a tanti, blasonati cineasti contemporanei) e sa come dirlo (attraverso un'estetica capace di liberarsi da ingombranti modelli). "Magnolia" lascia stupefatti per l'acceso sperimentalismo a tutti i livelli (montaggio, sonoro, dialoghi etc...), che colloca quest'opera sullo stesso livello non solo del miglior Robert Altman (maestro conclamato, di cui Anderson sviluppa, complica, interseca, amplifica le architetture corali), ma anche dei Maestri del muto: in primis, Eisenstein, per la profonda musicalità che traspira da questa opera. Come le pellicole del grande sovietico, "Magnolia" è una sinfonia in piena regola, rispettosa dei tempi e dei toni richiesti dai vari movimenti: il tema viene esposto ordinatamente nell'andante della prima parte, poi c'è il crescendo nella fase centrale, l'adagio nella resa dei conti del pre-finale, fino ad un nuovo, definitivo climax nell'apocalisse conclusiva...(passatemi questa forzatura, ma davvero mi viene difficile non inquadrare "Magnolia" come un'opera sinfonica di stampo romantico). Nonostante la sofisticata architettura narrativa, la mano del regista è leggera, fluida, armoniosa: non c'è traccia di cerebralismo e in alcuni momenti il racconto cede il posto alla poesia ed il prosatore-demiurgo Anderson diviene accorato cantore dell'umana sofferenza, di quel comune sentimento di dolore che unisce fra di loro i casi umani più disparati. Rimpianto, amore, tradimento, senso di colpa, capricci del caso e ineluttabilità del destino, la ricerca inconscia di conforto e di solidarietà, lo spaesamento del consorzio umano di fronte all'incomprensibilità del reale. Anderson passa senza soluzione di continuità dal grottesco al dramma puro e viceversa, ma assolutamente senza alcun compiacimento: tragico e ridicolo sono due sentimenti che coabitano nell'immaginario di Anderson (vedi anche "Il Petroliere"), due fattori che non possono fare a meno l'uno dell'altro per manifestarsi. E così isterismo nevrotico e strazio inguaribile sono due aspetti complementari di quell'assurdo quotidiano che abbiamo sempre vissuto e che continuiamo a vivere. Nella memorabile galleria di personaggi, disegnati e resi con sublime onestà, pietà, profondità ed intensità, all'insegna di una resa stilistica che non cade mai (nemmeno nella sequenza più bizzarra, quella in cui tutti quanti cantano una strofa di una canzone d'amore), è difficile fare graduatore: la mia simpatia va tutta per lo sbirro buono di J.C. Reilly, guida morale nell'inferno di una borghesia americana allo sbando.

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