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Al di là della vita

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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La recensione su Al di là della vita

di ga.s
8 stelle

Travis Bickle (il personaggio principale di Taxi driver) è tornato, o meglio è tornato il suo spirito tormentato che questa volta sembra aver trovato una ragione al suo esistere, non nella distruzione, bensì come già preannuciava il salvataggio di cui si rendeva protagonista in quel film, nell’aiuto verso gli altri. Questo è il lavoro notturno di Frank Pierce, degno e un po’ più sano erede di Travis, un sofferente ed esistenziale paramedico che vaga nelle notti newyorkesi per portare un po’ d’aiuto ai disperati dell’Hell’s Kitchen. Con quseto non pensiate che egli sia un angelo di bontà, il suo desiderio è quello di farsi licenziare, il lavoro lo sta in qualche modo divorando costringendolo a vedere ovunque il fantasma di Rose, una ragazza che non riuscì a salvare, convive con dei colleghi in vario modo perduti (uno indifferente a quanto accade, l’altro delirantemente religioso, il terzo assolutamente folle), ha visioni in cui uomini che stanno irrimediabilmente per morire invocano con rabbia l’eutanasia: ma d’altra parte resiste e vive intensamente la sua parte.
La New York notturna scritta dallo sceneggiatore Paul Schrader (da un romanzo di Joe Connelly) per questo film di Martin Scorsese è addirittura più terribile, ferita e malvagia di quella di Taxi Driver (sempre su sceneggiatura di Schrader), una città malsana che fa da sfondo a tre notti qualsiasi nella vita di Frank, tre notti come le altre, disperate ed irrinunciabili poiché la malattia che Frank trascina dentro di sé pur essendo dovuta a quel mondo notturno, in questo stesso girone infernale può riuscire a trovare anche una cura grazie all’incontro con Mary, figlia di un uomo che Frank non potrà salvare, ma che gli permetterà, con la morte, di avvicinarsi a questa donna assolutamente speculare a Frank: ex tossicomane (e quindi figlia di uno dei mali metropolitani per eccellenza che egli combatte) e con una coscienza malata che può così più facilmente convivere col dolore esistenziale di Frank.
Martin Scorsese torna al cinema con un’opera che forse non brillerà accanto ai suoi capolavori, ma che offre momenti davvero intensi, soprattutto nel secondo tempo, la parte più riuscita, in cui egli può dar sfogo ai suoi virtuosismi di montaggio (grazia alla collaborazione con la sempre ottima montatrice Thelma Schoonmaker), dove concentra la maggior parte delle inquietanti apparizioni di Rose (tranne l’ultima, riconciliatoria) e una sequenza onirica (indotta da un acido) nella quale Frank estrae tutti morti del suo passato dall’asfalto permettendo loro di resuscitare: una scena infernale e poetica che rimane la parte più affascinante di quest’opera che pur non offrendo una trama vera e propria – ma un cammino verso la ricerca di una salvezza forse trovata, forse no – è comunque il modo migliore in cui Scorsese poteva chiudere i conti con quella New York contemporanea che aprì la sua tragica ferita in Taxi driver tornando a mostrarla più pulsante che mai in questo film che certo non riconcilia (anzi!), ma getta comunque un po’ di luce nel buio, una luce che viaggia su un’ambulanza piena d’incertezze, come il taxi di Travis, ma mossa anche dalla necessità di salvare qualcosa.

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