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Eyes Wide Shut

Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film

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Scotty

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Eyes Wide Shut

di Scotty
10 stelle

Natura è mistero alla luce del giorno, non permette che il velo le sia tolto (W. Goethe).
 
Freud e le influenze mitteleuropee
Che echi e influenze mitteleuropee siano fortemente presenti in tutta l’opera di Kubrick è un’idea ampiamente condivisa (e condivisibile): basti pensare ai luoghi ed agli eventi raccontati in Barry Lyndon o Orizzonti di Gloria, alle scelte musicali – mai casuali in Kubrick – di Arancia Meccanica, 2001: Odissea nello speazio e dello stesso Barry Lyndon, o ancora ai retaggi dell’epoca nazista de Il dottor Stranamore. Che la “mitteleuropa” sia presente anche nell’ultimo film di Kubrick, Eyes Wide Shut, ambientato nell’abbagliante New York contemporanea (ancorché ricreata in studio a Londra), può non apparire così scontato. Certo, Doppio Sogno da cui il film trae origine è ambientato nella Vienna del ‘900, ma i luoghi e i tempi in cui Kubrick ha trasposto il racconto sono assai distanti e apparentemente molto diversi. Eppure qualcosa è rimasto. In effetti, come la Vienna di un secolo fa, la New York contemporanea si presenta come un calderone di culture ed etnie diverse, di fasce sociali molto distanti tra loro, che a volte si avvicinano, si sfiorano, ma non s’intrecciano mai veramente. E dunque, così come la Vienna di allora si trovava sospesa tra il mondo antico (l’impero asburgico) e quello moderno, ricco di trasgressioni e piaceri un tempo sconosciuti, così la New York di oggi si trova nel pieno di una contraddizione che unisce alla cultura lo snobismo, all’arte la trasgressione, alla dignità dell’uomo il potere del denaro. Questo parallelismo tra le due città diventa ancor più evidente se si pensa che così come in Doppio Sogno Fridolin si sente rivolgere insulti antisemitici da alcuni balordi incontrati per strada, in Eyes Wide Shut il Dottor Harford subisce gli insulti omofobici dei ragazzi di strada newyorkesi.
Questa trasposizione della cultura mitteleuropea di inizio ‘900 nella New York di oggi, tuttavia, non è che la punta di un iceberg assai più profondo. Kubrick, infatti, pur prendendosi ampie libertà, seguì piuttosto fedelmente l’opera di Schnitzler, le cui idee erano straordinariamente vicine a quelle di Freud. Quando Schntizler gli chiese il perché del suo rifiuto ad incontrarlo, Freud rispose in questo modo: “La risposta a questa domanda implica una confessione che mi pare troppo intima. Penso di averla evitata per una specie di timore d’incontrare il mio doppio. Non che io abbia facilmente tendenza ad identificarmi con un altro, né che abbia voluto trascurare le qualità specifiche che ci separano, ma immergendomi nelle sue splendide creazioni ho creduto sempre di trovarvi, dietro l’apparenza poetica, ipotesi, interessi e risultati che sapevo essere i miei”.
Quel che di Freud si ritrova tanto in Doppio Sogno quanto in Eyes Wide Shut è il concetto di stranezza inquietante, ovvero dell’aspetto spaventoso e perturbante che si cela dietro agli oggetti e alle persone che più ci sono familiari, un aspetto che, nonostante gli sforzi per tenerlo nascosto, ad un certo punto riemerge con fragore, dando il via ad una serie di eventi potenzialmente sconvolgenti. Proprio questo è l’aspetto mitteleuropeo che permea tutto il film, quello di un tabù sepolto – sconosciuto alla cultura americana – pronto a detonare al primo sussulto. Come in molti altri film di Kubrick, un impulso irrazionale finisce col prevalere sulla ragione. E per un autore fortemente votato all’Illuminismo, un tal constatazione non può che lasciar presagire il fallimento.
 
L’impero dei sensi
Vedere - L’occhio come strumento del guardare è uno dei temi ricorrenti in tutta l’opera di Kubrick: dall’occhio di Dave Bowman a quello del feto astrale in 2001, dall’occhio luciferino di Alex in Arancia Meccanica a quelli che perforano di Jack e Danny in Shining. Anche in Eyes Wide Shut l’elemento “occhio” assumo un ruolo centrale, com’è evidente sin dal titolo.
L’occhio, infatti, è ciò che consente all’uomo di guardare oltre se stesso. Guardare, però, non significa necessariamente vedere e vedere non sempre vuol dire capire. Del resto, è fin troppo evidente come Bill Harfrod attraversi tutto quanto il film vedendo molte cose, ma capendone assai poche. Egli vede Mandy vittima di un’overdose nella villa di Ziegler, vede una donna misteriosa salvargli la vita durante l’orgia mascherata, vede la stessa Mandy distesa sul lettino di un obitorio. Tuttavia, né lui né lo spettatore è in grado di dire con certezza se si tratti della stessa donna o se invece siano due (o tre) donne diverse. Ciò non fa che aumentare la confusione ed il turbinio di emozioni che si arrovellano nella testa di Bill e funge da specchio per le allodole per la falsa spiegazione finale di Ziegler, che non fa altro che rassicurare Bill dicendogli ciò che lui stesso spera di sentirsi dire.
La visione, oltre ad essere uno dei temi centrali del film, nei suoi aspetti subliminali, gioca un ruolo centrale anche per lo spettatore. Vale la pena riflettere un momento sui correlativi oggettivi che Kubrick dissemina lungo tutto il film sotto forma di scelte cromatiche. Così, il color oro diventa simbolo dell’opulenza: il giallo è infatti il colore che predomina negli ampi saloni in cui ha luogo la festa all’inizio del film. L’illuminazione fa poi assomigliare all’oro le pareti lignee della sala da biliardo in cui Ziegler fornisce a Bill la falsa spiegazione agli eventi a cui quest’ultimo ha assistito durante le notti precedenti. Analogamente, il rosso diventa il simbolo della trasgressione e della sessualità: rossa è la porta di fronte alla quale Bill incontra la prostituta Domino per la prima volta, rosse sono le pareti del negozio di maschere in cui la giovane figlia del proprietario fa sesso con uomini molto più maturi di lei, rosso è il colore del pavimento dell’enorme salone in cui si svolge il rito orgiastico, così come rosso è il colore del mantello dell’officiante. Rosso è anche il colore del tavolo da biliardo attorno al quale Bill e Victor si ritrovano verso la fine del film, come a sottolineare un legame con tutto quanto successo fino a quel momento. I colori freddi sono invece simbolo dell’inquietudine e della morte: di luce blu sono illuminate molte delle scene che si svolgono nella camera da letto di Bill e Alice, bianche sono le luci dell’obitorio, viola è il colore del vestito di Domino. Nulla sembra essere lasciato al caso.
Sentire – Come sempre, in Kubrick, l’atto del vedere si accompagna a quello del sentire. Le scelte musicali, infatti, non si limitano a sottolineare un avvenimento, ma sono esse stesse foriere di significati. La Jazz Suite, Valzer II, di Shostakovic, infatti, incarna pienamente l’anima più profonda del film, dividendosi tra mitteleuropa (Valzer) e Stati Uniti d’America (Jazz) e creando, attraverso l’unione di due stili così diversi, una sorta di non luogo che va di pari passo col non luogo labirintico nel quale si muove Bill. Il Vecchio Continente è presente anche in alcuni brani di Ligeti che Kubrick torna ad utilizzare dopo 2001 e Barry Lyndon.
Che il sentire vada di pari passo col vedere o, addirittura, costituisca la premessa stessa della visione, ci viene sottolineato in modo anche più velato da Kubrick. Nelle sue peregrinazioni notturne, dopo aver sentito le sconvolgenti confessioni di Alice e le proposte della figlia del notabile defunto, Bill incontra un suo vecchio amico. Un amico che gli racconta di feste misteriose nelle quali viene chiamato a suonare l’organo, bendato, senza che gli venga comunicato dove e perché. Un amico che sarà la causa degli eventi che porteranno Bill sull’orlo dell’abisso. Un amico che, non a caso, si chiama Nick Nightingale, cioè Nick “Usignolo” che, con il suo canto melodioso, ammalia Bill come le Sirene con Ulisse e lo spinge in un’Odissea oltre il mondo a lui conosciuto…
 
Sogno e realtà
Non vi è sogno che sia totalmente sogno. Questo è l’assunto di base che tanto sconvolge Bill dopo aver sentito le confessioni della moglie Alice. Quest’ultima, infatti, non solo gli confessa che, se ne avesse avuto l’occasione, lo avrebbe tradito con un ufficiale di marina incontrato un anno prima, mandando all’aria il loro matrimonio, ma gli racconta anche di un sogno in cui lei lo tradiva con molti uomini senza provare il benché minimo rimorso. Gli echi del pensiero di Freud tornano dunque a farsi sentire: un sogno non è semplicemente un viaggio innocuo della nostra mente, ma è indicatore di qualcosa, in questo caso di un disagio crescente che Alice riesce a gestire con sempre maggiore difficoltà. Un disagio del quale è l’inconscio ad accorgersi per primo.
Del resto, per tutto il film il confine fra sogno e realtà sembra diventare sempre più labile. Come spesso accade nei sogni, Bill si trova sul punto di fare qualcosa, di provare un’emozione, salvo essere interrotto da un evento da lui indipendente. Come quando si trova dalla prostituta Domino ed un attimo prima di cedere alle sue avances il cellulare suona, destandolo, come farebbe una sveglia sul comodino, e riportandolo alla realtà. Bill vive delle esperienze intense, che lo segnano, pur senza sperimentarle fino in fondo, senza comprenderle appieno e senza che vi siano conseguenze, almeno apparenti. Il suo vivere una realtà onirica è evidente anche dagli spazi in cui si muove, strade che si ripetono sempre uguali e sempre diverse, segnali difficili da interpretare, inquietudini che tutti, prima o poi, viviamo in sogno.
 
Ottimista o pessimista?
Il pessimismo di Kubrick è notorio, almeno quanto quello di Leopardi o di Woody Allen. La sua visione negativa dell’uomo, infatti, permea tutta la sua produzione: da Rapina a mano armata, in cui il caso, assunte le sembianze di un soffio di vento, scompiglia i piani accuratamente studiati dai rapinatori, a 2001: Odissea nello spazio, in cui l’intelligenza artificiale ed il progresso della scienza sono destinati a fallire, passando per Arancia Meccanica, Barry Lyndon, in cui è il secolo dei Lumi, quello della razionalità per eccellenza, a fallire, e Shining.
Eyes Wide Shut sembra inserirsi in questo filone pessimista: se, come abbiamo detto,la Vienna di inizio ‘900 e non è poi così dissimile dalla New York di un secolo dopo, grandi passi avanti non ne sono stati fatti e, di fatto, è come se il progresso avesse “perso tempo”. Il vil denaro è il motore di gran parte delle azioni dell’uomo (quante volte Bill maneggia contanti e carte di credito?), prevale sulla morale e sulla vita stessa. L’incapacità degli uomini di comunicare è lampante non solo nei discorsi vuoti e di maniera che riempiono la prima parte del film, ma anche nel fatto che Bill e Alice non si conoscono nonostante i molti anni di vita vissuta insieme. La società appare stratificata e divisa come non mai: i ceti ricchi sembrano potersi permettere il sacrificio di una prostituta senza che ciò dia scandalo. Le parole con cui Ziegler prova a tranquillizzare Bill sono significative in questo senso.
Eppure, in Eyes Wide Shut una fiammella di ottimismo sembra essere presente. Infatti, se da un lato in Shining Jack precipita nel baratro, tenta di sterminare Wendy e Danny, che si salvano solo grazie alla luccicanza di quest’ultimo, in Eyes Wide Shut Bill si ferma un attimo prima di trovarsi alla “fine dell’arcobaleno”, un luogo apparentemente bello, ma in realtà senza ritorno. E la salvezza di Bill e Alice sembra provenire unicamente dalla loro figlioletta, che non a caso all’inizio del film troviamo mascherata da angelo. Quasi come se Kubrick avesse voluto dirci Ok, finora abbiamo fallito, ma non perdiamo la fiducia. Un giorno, un uomo nuovo ci solleverà dalla nostra condizione con le sue ali da angelo e ci donerà finalmente la vera consapevolezza.

Come sempre, per correttezza svelo le fonti che hanno ispirato questa opinione: E. Alberione, Stanley Kubrick, Mondadori; M. Ciment, Kubrick, Rizzoli; S. Bernardi, Kubrick e il cinema come arte del visibile, Il Castoro.

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