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Eyes Wide Shut

Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Eyes Wide Shut

di Lehava
8 stelle

 

"Eyes Wide Shut" è un sguardo multiplo, quello del regista e quello degli infiniti spettatori, sull'enigma intrinseco in ogni essere umano. Alla radice di ogni essere umano, più in profondità di ogni cultura, pelle nuda sotto lo strato spesso di vestiti e maschere, dove sta il mistero della vita e della morte: il corpo come entità sessuale.

 

"La verità si troverebbe nel mezzo. Nient'affatto. Solo nella profondità" (Arthur Schnitzler)

 

L'ossimoro del titolo è affascinante quanto di non immediata comprensione: men che meno, prima della visione complessiva dell'opera.

La locandina ci introduce nella tema focale: un uomo ed una donna in effusioni, lui quasi nascosto nel corpo di lei; lei seria eppure ammiccante che guarda dritta nell'obiettivo. Sono gli occhi il primo strumento di potere: costruttivo per il regista che esplica, qui più che mai, la sua poetica; costruttivo per lo spettatore, che viene chiamato attivamente ad un ragionamento su sé stesso in quanto tale, ed in rapporto con l'altro. E' però ciò che sta oltre quegli stessi occhi - chiusi spalancati - oppure, sotto di essi, magari dentro, che ci svela la verità. E la verità è potere: la si può occultare, la si può evitare o ignorare, la si può violare o uccidere, deturpare o avvilire: ma essa è, ontologicamente.

Bill è un uomo di successo: il suo è un universo pubblico, di rapporti sociali, dove si muove con disinvoltura. Suo il potere dello sguardo, nel mondo: al lavoro, dove scruta i pazienti ed emette la sua "sentenza" di medico e nella vita privata, dove determina l'altro: conoscenti, figlia, ma più che tutti la moglie: bella esteticamente e delineata eticamente e moralmente, nella affermazione della "sicurezza" in lei e nella sua fedeltà.

Alice agisce invece in un universo domestico. Si accenna ad un suo impiego passato ma "ora", contemporaneo allo svolgimento degli eventi, la sua dimensione è esclusivamente familiare e casalinga. Lei non ha il potere dello sguardo: non costruisce Bill, e quindi non lo domina: semplicemente lo "subisce" cioè lo possiede in quanto tale. Il rapporto fra i due protagonisti è chiaro dalle prime battute e trova conferme ripetute nello svolgimento della festa in casa di Victor Ziegler. Il marito chiacchiera con altri invitati; si lancia in un gioco di innocente seduzione con due giovani modelle ma non si permette la perdita del controllo e quindi del potere (o forse è il caso a salvarlo?): richiamato dal padrone di casa, si riveste del suo ruolo di medico ed interviene salvando dalla morte per overdose una prostituta. Nel frattempo però, sorprendentemente, la moglie si è lasciata possedere dallo sguardo di un altro uomo: complice lo stordimento di un bicchiere di troppo di champagne, balla con un affascinante sconosciuto il quale, a differenza di Bill, pare consapevole delle zone d' ombre di Alice: a voler affermare che l'estraneità può confermare l'intimità esattamente come la menzogna il vero, e viceversa. Ritornati a casa, i due coniugi appaiono nudi, o meglio, vestiti della loro pura essenza: il protagonista trova l'ennesima conferma di sé nella moglie da lui stesso definita. Ma Alice, Alice guarda nello specchio: e vede l'immagine della coppia, vede l' immagine di un uomo e vede l'immagine di una donna. E decide che è venuto il momento di ristabilire gli equilibri, riappropriandosi di sé e del proprio universo e chissà, stabilire il dominio sull'altro. E' un istinto primordiale il suo, che trascende perfino il più basilare dei sentimenti che è quello dell'amore sia esso emotivo, emozionale, carnale, materno. Non c'è incertezza, o dubbio: lei "scatena" la crisi, lei la "chiude". Crisi che non è affatto matrimoniale bensì personale: Alice confessa il sogno perchè certa dell'eventuale "perdono" del marito. Come certa del suo "perdono" verso l'eventuale tradimento di lui. E' una sfida a Bill come elemento debole: Bill che annaspa spaesato e che è chiamato ad un "risveglio" brusco e doloroso: perchè "Eyes Wide Shut" afferma una verità quasi insostenibile: la realtà concreta, il linguaggio stesso, persino azioni ed emozioni possono essere pura finzione a fronte di una autenticità che sta nell'ignoto. Dentro e fuori di noi, non lo possiamo afferrare. Nessuno sguardo ha quel potere sopra esplicitato. Non c'è rivelazione perchè l'enigma è nell'identità stessa. Non esiste unione: nessun contratto (il matrimonio) che tenga. Nessun sentimento, nemmeno l'amore, sancisce la conoscenza e l'appartenenza: la solitudine dell'individuo è totale. Il mistero resta tale.

Alice intuisce tutto ciò ed afferma, orgogliosa ed incisiva, la sua inafferabilità attraverso la condivisione della propria sfera onirica. Bill è suo marito, Bill la ama ed è riamato. Ma non può penetrarla: non nell'anima. Neppure lei, d'altronde, può conoscere e possedere interamente se stessa: persiste una zona di vuoto e di silenzio che può essere raccontata da un sogno, che forse è realtà, o forse no; potrebbe esso racchiudere desideri ed aspirazioni , ma anche no. Bill, più che mai cieco e sordo, sconvolto da questa rivelazione, aggredito dalla perspicacia e dall'ostinazione della moglie, si smarrisce nella ricerca affannosa dei confini di sè. E non può che farlo partendo dalla base: fissando i poli fondamentali: Eros e Thanatos. Dove la vita dovrebbe essere naturalmente ed istintivamente identificata da Eros (non è forse l'atto sessuale l'eterna riaffermazione della specie?) e Thanatos la conclusione di tutto. Ma già qui, area teoricamente delineata con precisione, il caos impera e l'antitesi non regge: forse la morte è in vita (la malattia e la sua condanna inesorabile) e la vita è in morte (la figlia che veglia il padre) o forse no, solo in una sciarada leggiadra, un sogno che al mattino si dissolve senza conseguenze. Il sesso da istinto naturale diviene spettacolo teatrale-intellettuale dove poco si "fa" ma molto si "osserva" ed il potere, sommo tra i piaceri, sta nell'essere osservati mentre si fa. Esso perde completamente la sua connotazione di principio di vita: è sterile, meccanico, noioso ed annoiato. E quel che peggio non praticato ed infatti Bill non riesce ad avere un rapporto Domino; resta in dubbio se questo sia successo anche a Victor Ziegler con la prostitua drogata; la giovane Lolita nel negozio viene "interrotta"; durante nell'orgia i più camminano per la grande casa e l'interesse generale pare più verso l'introso che non verso le donne.

La parte "centrale" del film racconta dunque la ricerca di Bill attraverso episodi casualmente collegati gli uni agli altri, in un crescendo che identifica il lavoro di Kubrick come un "thriller" (la musica in questo aiuta parecchio) dove l'assassino da scovare è anche la vittima. Se Alice "scompare" - tanto più presente quanto assente - Bill resta solo sulla scena, alla ricerca, quasi sempre goffa, del proprio vello d'oro di cui non conosce forma, dimensione, colore, odore. La sfera pubblica perde qualsiasi importanza (rimanda gli appuntamenti, vive di notte ...) a fronte di quella intima per lungo tempo ignorata. Tra prostitute gentili o incoscienti, ragazzine sfruttate, bravi padri di famiglia in tourneé a New York e ricchi annoiati e demosciati, c'è una precisa costruzione registica a strappare allo spettatore un coinvolgimento-consenso verso questo povero novello Ulisse che spera di ritornare al noto ma si rassegna all'idea di essere in cammino verso l'ignoto. Le donne sono manichini nudi, perfette e tutte uguali perchè senza identità: mute (la prostituta in overdose; la giovane figlia del proprietario nel negozio di vestiti; le partecipanti all'orgia) oppure senza volto e nome (la donna che si "sacrifica" per Bill nell'orgia) oppure ancora "già morte" (Domino; la figlia che veglia il padre morto e che confessa un'amore tanto assurdo quanto reale presagio di un destino di dolore). Gli altri uomini sono per Bill esseri ostili nei quali apparenza e sostanza non coincidono mai: in un negozio di abiti-postribolo, dove il proprietario non è più chi ci si aspettava fosse, nè d'altronde il nuovo è ciò che sembrerebbe; oppure in una riunione privata dove i presenti indossano una maschera, dovrebbero consumare atti sessuali ma sono inesorabilmente vestiti (la nudità maschile è praticamente inesistente). Bill è solo, abbandonato in un deserto di incomprensione, spinto avanti da una curiosità che non mostra passione, erotismo, neppure perversione: i corpi sono freddi come cadaveri ed il sesso ripetitivo e mercenario. Non esiste una spiegazione, non c'è un confine fra realtà e sogno, fra dramma e commedia. Il destino dell'essere umano è annichilimento e bruttura, cecità e divenire continuo, incertezza. In una parola, il caos del vuoto.

Stanco e spaventato Bill non può far altro che tornare a casa: una casa poco accogliente ma pur sempre riparo sicuro dai pericoli corsi nella notte. Il suo percorso è circolare: dopo periglioso peregrinare l'eroe acheo Odisseo riabbraccia Penelope. Alice è lì: non ci sono parole, una maschera è sul cuscino, accanto a lei che dorme. Che dorme tranquilla, nella serena consavolezza dell'ignoto, del mistero, della condanna umana alla insoddisfazione e quindi alla infelicità. Nulla sarà più come prima.

 

Come si possono rimettere insieme i cocci di milioni di esistenze? Ritrovare l'innocenza dello sguardo? C'è una redenzione per questa umanità spersa e sperduta?

Kubrick non si sottrae e coerentemente sfugge l'idea di un finale aperto: la poetica sta tutta nella "visionarietà" del suo cinema, che è sempre metacinema. Il dualismo si fa più dicotomia. Vero / falso, reale / irreale, veglia / sonno, realtà / sogno, vita / morte non hanno più un fondamento ontologico: tutto è sempre mediato dallo sguardo. Che non è potere ma mezzo: questa è la condanna ed insieme la grazia dell'essere umano. Tragico il destino di un mondo in cui tutto è discutibile, questionabile, relativo: un destino senza Dio, senza fede, senza speranza. Così parrebbe. Così è. Eppure il dubbio si insinua: se non esiste verità, allora anche la bugia più essere verità. E l'unico appiglio al disordine è quanto di più semplice ed immediato: la telecamera chiude fissa su Alice: "scopiamo".

 

Aperto dalle note splendide e decadenti del Valzer 2 di Dimitrij D. Scostakovic "Eyes Wide Shut" si muove circolarmente (tecnicamente la mdp, teoricamente la sceneggiatura) attorno ai due attori/ballerini: una splendida, teatrale, esasperata Nicole Kidman ed un inutile ed ingenuo Tom Cruise. Entrambi, filmati nella essenza della loro immagine pubblica, sfruttando oculatamente la loro relazione privata. La qualità estetica della pellicola è fuori discussione. Sebbene, personalmente, ritengo che Kubrick avrebbe apportato ulteriori modifiche avendone avuta la possibilità: alla colonna sonora sicuramente (eterogenea ma non del tutto convincente, nei tempi) e probabilmente in maniera più pesante al montaggio di alcune scene: per quanto il film sia "lungo", comunque, a me pare frettolosamente "tagliato" in alcuni passaggi (la chiusura dell'episodio a casa della donna che veglia il padre morto per esempio). Naturalmente non si avrà mai certezza a riguardo. Perfette le ambientazioni newyorkesi, gli abiti (nulla lasciato al caso nei look dei protagonisti, ed ovviamente, di grande fascino la scena dell'orgia di sapore libertino-settecentesco-veneziano/francese), grande cura nella sceneggiatura con un occhio speciale, come sempre per Kubrick, per i dialoghi ed i monologhi. La fotografia limpidissima, nitida ma mai eccessivamente lucida rimanda bene sia i toni scuri (prevalenti) che i colori più caldi evidenziati da luci ossessivamente artificiali (d'altronde, gli "esterni" veri o fasulli che siano sono pochissimi e quasi tutti notturni).

 

Il paradosso umano è anche cinematografico. O meglio, il paradosso cinematografico è quello umano: se un barlume di speranza resta, certo non è da ricercarsi nella cultura. Eppure, è solo attraverso essa che la tale consapevolezza si palesa. Come a dire: ritorniamo al corpo, alle sue funzioni primordiali e naturali, tramite un meccanismo che è esclusivamente emotivo ed intellettuale e quindi, di per sé, contraddizione della conclusione. Un mistero. Il Mistero.

 

Nella sua complessità - che deborda ovunque, dalla musica alle parole, a partire dal titolo, dalle immagini fisse a quelle in movimento - un'opera importante invero "selezionatrice" del proprio pubblico (tempi, linguaggio, tematiche confermano la mancata e ricercata non-popolarità). A cui comunque, oltre un apprezzamento formale, risulta veramente difficile affezionarsi. Proprio in nome della sua essenza, rarefatta e teorica.

 

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