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Mouchette - Tutta la vita in una notte

Regia di Robert Bresson vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Mouchette - Tutta la vita in una notte

di fuoriposto
8 stelle

E’ il ritratto di un’anima ancor prima che di una società. Tramite una vicenda frammentata si delinea l’isolamento che avvolge una ragazzina di una arretrata provincia francese, territorio senza speranza. La vicenda è marginale, come la vita della ragazzina. Non ci sono sogni, solo attese insoddisfatte; non c’è pietà, solo moralismo ipocrita; non c’è dialogo, solo un disperato quanto vano bisogno di comunicare. Una vita tagliata fuori, bandita, emarginata. E’ dagli occhi di questa Mouchette senza speranza che emerge l’ultimo bagliore di umanità. E’ nella sua contestazione ( nei pugni di terra lanciati con rabbia, nelle brioches gettate, nell’inno non cantato) che si legge l’umanissimo disagio di chi non è alienato, di chi non vuole rinunciare alla sua autenticità. E’ dalla sua scelta di non condannare chi ha abusato di lei che emerge la protesta contro la falsa moralità del sistema. Ma non c’è posto per questa protesta, non c’è spazio per questo dissenso. Non c’è apertura al confronto. Mouchette e la sua rabbia sono destinate all’isolamento sempre maggiore, all’estinzione. La voce di Mouchette è destinata al silenzio. Non ci sono eroi, non c’è catarsi. Non c’è comprensione. Solo il rigido evolversi di una società meccanica, le sue logiche di profitto e di sudore. Una totale assenza di libertà che induce l’uomo all’apatia, al disinteresse. L’unico rifugio resta l’alcool. E anche questo squallido rifugio è bandito, quindi merce di contrabbando: non ci sono concessioni, la legge vieta all’uomo qualsiasi fuga, qualsiasi autonomia. Anche la madre muore. L’ultimo esile tramite con il dialogo si spezza. E il silenzio che avvolge l’intero film, l’intera realtà, si fa agghiacciante, insostenibile. Mouchette muore. Non c’è alcun coro ad accompagnare, a cantare la sua tragedia. Solo una solitudine assoluta. Il suo gesto finale è un gioco autistico. L’espressione è ciò che ci lega alla vita, sembra ricordarci Bresson, ma in una società senza parole la vita non è comunque permessa.
Ciò che risalta dall’analisi “tecnica” del film è la capacità del regista di narrare una vicenda con un rigore e un’asciuttezza che hanno dell’incredibile. Nessuno spazio è lasciato ai sentimenti, alla pietas, al dramma. E’l’intero ritratto a rivelarsi drammatico nella sua globale asetticità, prpoprio perché ritratto di una sociètà asettica. Lo specchio della raltà è la sua desolata cronaca. Non c’è messaggio, non c’è etica a controbilanciare l’aridità del reale. I limiti della pellicola si possono trovare nella descrizione di Mouchette, nel suo complesso forse un po’ troppo elusiva.

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