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Cowboy

Regia di Delmer Daves vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Cowboy

di ed wood
7 stelle

Un western decisamente anomalo questo di Delmer Daves, maestro "minore" (passatemi l'ossimoro) del cinema della Frontiera. Anzitutto, per la presenza di Jack Lemmon, attore brillante non certo abituato alla polvere di saloon e praterie. All'epoca fu esaltato, a ragione, per il realismo: effettivamente, sia sul fronte formale che su quello dei contenuti, siamo di fronte ad una continua, per quanto mascherata, eversione dei codici espressivi tradizionali. Anzitutto la fotografia: gli unici momenti in cui si cede al lirismo sono un paio di incontri romantici fra due amanti infelici, tinteggiati da un crepuscolo "da cartolina" e segnati da inquadrature quasi epiche, con mdp più bassa del solito. Poi, lungo spazio viene concesso a digressioni sulla vita dei cowboy (la gestione delle mandrie, il rodeo, il rapporto coi messicani, la bisboccia nella "civile" Chicago). Infine, il percorso esistenziale del protagonista è letteralmente ribaltato rispetto agli standard: non c'è un tragitto virtuoso dalla "wilderness" alla civiltà, ma l'esatto contrario. Il mite albergatore decide, per amore (ma forse anche per frustrazione o scarsa autostima o incoscienza), di diventare cowboy, e dopo le difficoltà degli inizi (dovuti alla sua candida "moralità") verrà inesorabilmente trascinato verso la barbarie del "vaccaro medio". Non avrà la sua donna, non coronerà i suoi propositi più idealistici, ma conquisterà l'amicizia del rude e volgare socio d'affari (un Glenn Ford sempre impagabile nei panni del cowboy incolto, cinico e risoluto: personaggio ben delineato e tipico "vincente" in una società americana che premia con una notte all'Opera anche i rozzi e gli ignoranti, a patto che "facciano i soldi") e potrà anche lui concedersi qualche battona in un lussioso hotel ed ammazzare scarafaggi con una pistola. Difficile trovare, nel western classico, un lieto (?) fine più sconcertante. Certo, queste trasgressioni stilistiche e tematiche si pagano sul piano del ritmo, della costruzione narrativa, della sceneggiatura (mai visto un attacco pellerossa più inutile e macchinoso di quello che si vede nel finale), della definizione delle figure di contorno etc...ma va dato atto a Daves, con questo film, di aver spianato la strada ai vari crepuscolarismi e revisionismi dei 60's (del resto, fu proprio lui il primo a rivalutare la figura del nativo, nel seminale "L'amante indiana" del 1950).

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