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Corvo Rosso non avrai il mio scalpo!

Regia di Sydney Pollack vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Corvo Rosso non avrai il mio scalpo!

di FABIO1971
10 stelle

"And some folks say he's up there still..."
[da Jeremiah Johnson: Ballad of a Mountain Man, cantata da Tim McIntire - testi di Tim McIntire, musiche di John Rubinstein]

"Si chiamava Jeremiah Johnson e il suo desiderio era diventare un grande cacciatore. La leggenda parla di un uomo dal carattere forte e dallo spirito avventuroso. Nessuno sapeva da quale parte venisse, ma questo in fondo aveva poca importanza. Era un uomo giovane e le storie che si raccontavano su quelle montagne non gli facevano nessuna impressione. Cercò un buon fucile da acquistare, possibilmente calibro 50 o più: dovette accontentarsi di un 30, ma per fortuna era un autentico Hawken, non c'era di meglio. Si comprò un cavallo, le trappole e tutto l'equipaggiamento necessario per vivere da solo e disse addio a tutto ciò che rappresentava la vita per la gente. Questa è la leggenda di Jeremiah Johnson".
Jeremiah Johnson (Robert Redford) è solo sui sentieri innevati delle Montagne Rocciose, alla ricerca di castori, orsi, lontre ed altri animali dalla pelliccia pregiata. Si imbatte in Chris Lapp (Will Geer), conosciuto col soprannome di Unghia d'Orso, un vecchio cacciatore di grizzly ("Colleziono artigli, avevo scovato un orso nella boscaglia, ma tu con quel fracasso l'hai fatto scappare"). Da lui apprende ogni segreto e tecnica necessari per sopravvivere sulle montagne e difendersi dagli indiani: "Gli Ute e le Teste Piatte generalmente sono pacifici, i Corvi, invece, sono pericolosi. E grandi guerrieri: a mio parere i Corvi sono gli indiani più belli che ci siano e i più orgogliosi. E non c'è uomo che gli tenga testa andando a cavallo: una volta ne vidi un gruppo all'attacco in piena velocità, una gamba sul dorso del cavallo, una mano aggrappata alla criniera, sparare da sotto il collo della bestia. Ma sono una razza di svergognati e fannulloni". Jeremiah Johnson ha già incontrato il capo Mano Che Segna Rosso (Joaquìn Martìnez), riuscendo ad instaurare con lui un rapporto di reciproca fiducia e rispetto. È pronto per ripartire, Unghia d'Orso gli dà la sua benedizione ("Molti si arrampicano fin quassù per cambiare la loro vita, per ricavare dalla montagna qualcosa che non hanno ottenuto in pianura: non concludono niente! Non si inganna la montagna") e gli augura ogni fortuna ("Hai già capito l'antifona e farai molta strada. Se questi non ti arrostiscono o ti scotennano..."). Si dedica alla caccia, vendendo pelli agli indiani, finchè le nevi dell'inverno si sciolgono al sole delle stagioni più calde. Incontra una donna bianca (Allyn Ann McLerie) e suo figlio (Josh Albee): il resto della loro famiglia massacrato dagli indiani davanti ai loro occhi, la donna ormai fuori di senno, il piccolo incapace anche di spiccicare una sola parola. Gli propone di accompagnarli al fiume ed imbarcarli su un traghetto, ma la donna rifiuta e gli affida il bambino. Jeremiah lo ribattezza Caleb ("È un nome che mi è sempre piaciuto. Ti va? Caleb? Bene, fa' come ti pare, da piccolo ero come te") e riparte insieme a lui. Trovano Del Gue (Stefan Gierasch), un uomo sepolto vivo nella sabbia dai Piedi Neri di Cane Pazzo, e lo liberano dalla sua prigionia. Del Gue vuole vendicarsi, gli indiani che lo hanno derubato sono gli stessi che hanno massacrato la famiglia di Caleb, ma Jeremiah non ha alcuna intenzione di assecondarlo:
"Appena buio dammi la tua pistola e carica il fucile a pallettoni".
"No, io non ho niente contro questi indiani, devo rimanere da queste parti per lungo tempo e non voglio assolutamente farmeli nemici".
"Quelle belve mi hanno seppellito sotto terra, hanno preso il fucile e il cavallo, rubato le mie pelli, senza parlare di quello che hanno fatto ai genitori del ragazzo e tu vuoi che gliela perdoni?".
"No, ma fra poco dormiranno: non sarà difficile scendere giù e prendere quello che ci pare".
Durante la sortita notturna, però, Del Gue apre ugualmente il fuoco sui Piedi Neri, sterminandoli senza pietà. Costretti alla fuga per evitare rappresaglie, vengono avvistati da una tribù di Teste Piatte, al cui capo Jeremiah offre doni troppo importanti per poter essere ricambiati: e invece il gran capo gli regala in moglie sua figlia Cigno (Delle Bolton). Jeremiah non può rifiutare e lascia il villaggio delle Teste Piatte insieme a una "moglie" che non parla la sua lingua e ad un "figlio" che non apre bocca ("Che compagnia... Non c'è niente di meglio del silenzio"). Eppure, lentamente, ogni barriera si frantuma e tra i malcapitati compagni d'avventura riesce ad instaurarsi un vero rapporto familiare, fondato sull'universale inequivocabilità di gesti, sorrisi, affetti, sentimenti ed emozioni. Costruiscono la loro casa per prepararsi al lungo inverno in arrivo e dove Cigno e Caleb attenderanno Jeremiah, in partenza per un'ennesima sfida solitaria alla natura, la caccia ai bufali. Al suo ritorno riceve la visita di una guarnigione di soldati, venuti a chiedere la sua collaborazione, vista la fama subito diffusasi dei suoi ottimi rapporti con gli indiani e della sua conoscenza della zona, per guidarli ed aiutarli a recuperare tre carri di uomini bloccati in una vallata dalla neve e dal ghiaccio. Ma, per raggiungere il valico sulle montagne che li condurrà a destinazione, i soldati convincono Jeremiah ad attraversare ugualmente, nonostante il suo disaccordo, un cimitero sacro dei Corvi. Gli indiani li scoprono, la loro vendetta è terrificante: le vittime della furia dei Corvi, infatti, sono Cigno e Caleb, barbaramente trucidati. Ora Jeremiah è veramente solo e, dopo aver incendiato i loro corpi insieme alla sua casa, parte alla caccia dei carnefici dei suoi cari, a cui non darà scampo: furibondo, ne risparmierà soltanto uno, quello che, prossimo alla morte, aveva intonato il proprio canto funebre, costringendo Jeremiah a tornare in sè. La suadente ballad di Tim McIntire in colonna sonora accompagna il suo tormento:
An Indian says you search in vain
for what you cannot find,
he says you found a thousand ways
of running down your time.
An Indian didn't scream it,
he said it in a song
and he's never been known to be wrong,
he's never been known to be wrong.

Si difende dagli agguati degli indiani, che lo braccano senza sosta inviandogli contro i migliori guerrieri. Sarà Del Gue a spiegargli il motivo dell'accanimento dei Corvi nei suoi confronti: "Fra gli indiani la fama di una tribù è determinata dalla potenza dei suoi nemici". Lo invita a tornare in città e ad abbandonare le montagne, ma Jeremiah non ha alcun dubbio sulla strada da percorrere ("Impossibile, ho già vissuto in città"): "naso bene al vento ed occhi all'orizzonte", Jeremiah riprende il proprio cammino con ostinata fierezza. Incontra Unghia d'Orso: "Ti è andata bene, hai salvato la chioma, con tutta la gente che ne va a caccia". Sono passate molte stagioni dai tempi del loro primo incontro: mangiano insieme e poi si salutano, forse per sempre. Ma non si tratta dell'ultimo saluto di Jeremiah: c'è un indiano che non può lasciarlo partire senza tributargli i propri onori. È Mano Che Segna Rosso, il capo dei Corvi: un solo gesto, la mano alzata, silenzioso e solenne, poi un nuovo viaggio. "E certa gente dice che sia ancora lassù".
Girato tra i boschi, le montagne e i parchi naturali dello Utah, Jeremiah Johnson (vergognoso il titolo italiano) costituisce uno dei capolavori assoluti della filmografia di Sydney Pollack: il ritorno alla purezza ancestrale della natura, il confronto tra pionieri e nativi, la lotta disperata per la sopravvivenza, il ciclo della vita, del tempo, delle stagioni, il viaggio come esplorazione di ogni frontiera, dai confini sperduti dei territori più impervi alle insondabili profondità dell'animo umano. Un western revisionista perchè non affronta semplicisticamente le tematiche dell'integrazione tra uomini bianchi ed indiani imbevendosi di istanze politically correct ed urlando a squarciagola che i nativi erano "buoni", ma propone, invece, estremizzata nella sanguinosa faida con i Corvi che coinvolge il protagonista, un'elegiaca ed accorata ode alla tolleranza e al rispetto in nome della reciproca sopravvivenza e, ovviamente, della pacifica convivenza tra popoli e culture differenti. Un western, inoltre, in cui gli spazi immensi del paesaggio, i mutamenti del clima, l'avvicendarsi delle stagioni avvolgono i personaggi mettendone a dura prova il coraggio, la resistenza, la forza d'animo per restituirne la cristallina e primordiale purezza: via dalla civiltà, via dal progresso, far from the madding crowd, l'uomo torna solo con se stesso per scoprire che in quel mondo oltre ogni frontiera la solitudine è soltanto un'apparenza. Jeremiah Johnson è l'eroe di questo universo: nel suo personaggio la sceneggiatura di John Milius (che sempre nel 1972 si dedicherà ancora al western firmando il copione di L'uomo dai sette capestri di John Huston) e Edward Anhalt (I giovani leoni, Becket e il suo re e Lo strangolatore di Boston tra i suoi script), basata sul romanzo Mountain Man di Vardis Fisher e sul racconto Crow Killer: The Saga of Liver-Eating Johnson di Raymond W. Thorp e Robert Bunker, rievoca la figura di John Garrison Johnston, leggendario trapper del Montana soprannominato "Liver Eater" (mangiafegato) per l'abitudine (una falsa leggenda) di nutrirsi del fegato degli indiani uccisi: alcolizzato, violento e dalla reputazione tutt'altro che limpida, Johnson "ha cercato l'oro in California per poi trasferirsi in Wyoming e Montana, dove ha cacciato, piazzato trappole, ucciso lupi, contrabbandato, venduto whisky, tagliato legna e lavorato come esploratore", diventando il più abile e spietato cacciatore di indiani del territorio. Sulla sua contraddittoria figura farà finalmente (e definitivamente) luce nel 2008 la biografia The Avenging Fury of the Plains di Dennis John McLelland, demolendone l'aura leggendaria e narrandone le avventurose vicende. Il film di Pollack, affidato all'interpretazione di un impeccabile Robert Redford, illuminato magistralmente dalla magnifica fotografia di Duke Callaghan e contrappuntato dalla splendida colonna sonora di John Rubinstein e Tim McIntire, ripercorre la parabola esistenziale del suo protagonista concentrandosi con eleganza e raffinatezza stilistica sulle sfumature e i dettagli, sui sentimenti inespressi, sui tormenti della coscienza di fronte all'accanimento brutale della natura, sulla crescita (la maturità, quindi la saggezza) che la simbiosi con quella stessa natura alla fine concede a chi ha avuto il coraggio e la tenacia di sfidarla, giungendo a una trasfigurazione epica di tale connubio senza lasciarsi mai sfiorare dalla retorica o dalle derive dell'agiografia. Un film di cristallina maestosità, libero e selvaggio, emozionante e poetico. "Si chiamava Jeremiah Johnson e il suo desiderio era diventare un grande cacciatore".

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