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Boyz'n the Hood

Regia di John Singleton vedi scheda film

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La recensione su Boyz'n the Hood

di Stefano L
8 stelle

 

L’avvio degli anni novanta ha segnato il ritorno della blaxploitation. “Boyz'n the Hood” di John Singleton ne fu il paradigma più significativo, in quanto rappresentava icasticamente la tribolata via per la salvezza di un teenager afroamericano: Tre Styles (il bravo Cuba Gooding Jr.). Allevato fin dalla pubertà dal padre (Laurence Fishburne, sempre incisivo), il quale si è adoperato per fargli conoscere valori come l'impegno e il senso di responsabilità, preparandolo ai vincoli che la società pone davanti alla comunità di colore, Tre affronta ogni giorno tutte le turpi avversità del ghetto di Los Angeles. Gli amici di infanzia hanno già scontato il loro periodo in gattabuia, oppure sono rimasti invalidi dopo uno scontro a fuoco. Ma lui guarda dritto verso un futuro migliore, date le buone possibilità di essere ammesso al college. A seguire i lodevoli propositi c’è lo studente di football (con un pargolo in casa) Ricky Baker (Morris Chestnut), cui lo attende una promettente carriera universitaria da giocatore professionista. Il fratello di quest’ultimo, Dough Boy (il perennemente arcigno, carismatico Ice Cube), rispecchia il burbero stile gangsta, tra risse, sparatorie, droga e fiumi di alcool. Precipitare nell’abisso dell’onda criminale è facile, esplodere nella rabbia più acuta porterebbe a intraprendere la strada sbagliata; è una continua sfida di fronte alla perdizione. Vendicarsi per i misfatti sofferti o continuare a subire senza voltarsi? L’atmosfera ricorda quella di un lungometraggio di Spike Lee: a frangenti di efferata tragedia si alternano soavi e romantiche sequenze (mai sdolcinate o moraleggianti), nonché spezzoni ironici più leggeri. La recitazione è di qualità (gli atteggiamenti sulle righe sono riservati ai caratteristi), i registri vengono mixati con attenzione, e l’eventualità di avvicendarsi tramite bruschi e fuorvianti turning point è lontana dal concretizzarsi. Da notare altresì l’equilibrio ponderato nel cospargere le dosi di violenza, le quali non si mostrano invasive o pretestuose, ed anzi sono precedute da piccoli, rimarchevoli climax efficacemente costruiti, il cui pathos è rappreso da una colonna sonora energica ed infervorante, comprendente artisti black di spessore (nomi quali Monie Love, i Prodigy sotto pseudonimo, 2 Live Crew e Quincy Jones la dicono lunga). Comunque non mancano le perplessità relative alla sceneggiatura; non è decifrabile, ad esempio, la sagoma ambigua del poliziotto nero e razzista che manifesta un sadico disprezzo nei confronti della medesima etnia a cui appartiene. Solo abbozzata anche la ragazza di Dough (impersonata da Regina King), rozzo stereotipo della classica squinzia sbronza. Brava, benché relegata ad un ruolo marginale, l’affascinante Angela Bassett, nei panni della madre premurosa. Al di là delle lacune, le emozioni, in “Boyz'n the Hood”, sono tangibili. Ergo, se avete commesso l’errore di ignorarlo in passato, recuperate questo cult.

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