Regia di Tony Kaye vedi scheda film
Un ragazzo e la propria sofferta conversione. Questo ragazzino, Danny, scrive una relazione come compito per casa, è uno spunto devastante sulla stupidità e la tolleranza attraverso la storia del propri fratello. L’ordine temporale viene mandato a ramengo nell’esaltazione di una dimostrazione su quanto l’odio e il razzismo siano inutili, uno schema inedito, accattivante soprattutto stilisticamente perché, al di là di come la storia viene posta, la potenza delle immagini è ciò che di più immediato e forte si possa sfruttare. Questo mondo ci finisce addosso fin da subito, l’aggressivo fratellone Derek irrompe nell’equilibrio familiare, assatanato naziskin qual è, si esprime con la violenza, siano parole o pugni chiusi non importa, lui aggredisce con la propria rabbia. I suoi amici lo acclamano come un eroe alla sua uscita di prigione, lo travolgono, lo gasano. Poi c’è il concetto in sé, Derek che racconta la propria vicenda nella prigione al fratellino, una storia semplice, banale, non però così sembra al fratello, una storia trasformata in epopea perché, malgrado sembri semplice sapersi comportare come si dovrebbe, il ribelle neo carcerato ne passerà di cotte e di crude, un calvario da cui ci si può salvare solo imparando a conoscere le persone al di là del colore della pelle. Emblematica è la conclusione raccontata da Danny riguardo alla propria relazione, la soluzione a tutto, ciò che avrebbe risparmiato all’altro fratello tanti problemi, è la maturità d’imparare a lasciar perdere quella rabbia, Danny ci è arrivato e anche Derek, risolvere però un passato tanto tormentato scontrandosi con l’ottusità da cui si è appena fuggiti non è facile.
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