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La conversazione

Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film

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La recensione su La conversazione

di luisasalvi
6 stelle

Caul è un investigatore privato, “il migliore”, freddo, attento, inventa o perfeziona strumenti e metodi per intercettare le conversazioni, indifferente al loro contenuto. Alle prese, per tutto il film, con quella di una coppia clandestina che teme di essere ammazzata, evidentemente dal ricco marito che ha ordinato a lui l’intercettazione, per caso è indotto a interessarsi al suo contenuto e poco per volta ne viene ossessionato, si rende conto che la sua intercettazione può provocare la morte dei due e cerca di evitarlo. Finale a sorpresa paradossale (he non dico) e finalino ancor più “divertente” se lo spettatore è rimasto abbastanza sveglio per coglierlo: Caul, che già prima era stato minacciato di morte, riceve una nuova minaccia telefonica e cerca disperatamente una cimice che suppone nascosta nel suo appartamento; lo demolisce invano per cercarla, poi, stanco e afflitto, si siede in un angolo della stanza distrutta e suona mestamente il sax; l’immagine è vista dall’alto, come da una telecamera nascosta e sfuggita al suo controllo.

La vicenda, banalissima, si riduce a noiose riletture dei nastri per perfezionare la registrazione a capirne il senso. Il regista sembra impegnato solo a rendere teso ogni momento di una vicenda volutamente banale proprio per esaltare la propria bravura. Lo fa con metodi ingenui e vecchi, forse addirittura esplicitati, quasi volesse dirci “guardate come sono bravo, uso vecchi trucchi per dare tensione ad una vecchia storia banale, ve li faccio addirittura vedere, ma voi restate ugualmente attaccati allo schermo: avete mai visto uno più bravo di me?”.

Bergman aveva confessato in modo più esplicito lo stesso proposito, in Il settimo sigillo per bocca del pittore che dipinge la danza della morte in una chiesa per suscitare paura e riesce a far rabbrividire anche il cinico scudiero che fino a quel momento aveva deriso la paura della morte; e come il pittore così ci riesce Bergman nel suo film. O come Hitchcock. Ma Coppola proprio no. Usa le immagini più ovvie del terrore, grida e sangue sulla parete della doccia, il sangue che trabocca dal vaso, ecc. Coinvolge lo spettatore facendogli capire subito ciò che lo scaltro investigatore non capisce, quando un altro investigatore gli offre in regalo una penna e gliela mette nel taschino della giacca e dopo qualche tempo farà ascoltare a tutti la registrazione delle sue parole ad una bionda; questa vistosamente cerca di portarselo a letto, e lui si fida, le racconta le sue ansie, teme per la coppia registrata e anche per sé ma non gli viene il dubbio che la donna sia lì per fregarlo. Sono tutti sfoggi di bravura, ma sfoggi vani perché è il trucco è vistoso e finisce per annoiare anziché divertire.

Tuttavia il fatto che non molti spettatori se ne siano accorti (come ben pochi se ne sono accorti per Bergman o per Hitchcock) mi costringe a riconoscere che il gioco gli è riuscito abbastanza bene; avrei voluto dare un voto inferiore, ma concedo la sufficienza in omaggio alla cultura sempre più dominante che vede nel successo la misura del valore.

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