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La sottile linea rossa

Regia di Terrence Malick vedi scheda film

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La recensione su La sottile linea rossa

di lamettrie
9 stelle

Un gran bel film contro la guerra, profondissimo.

La guerra è un pretesto, tra i migliori, per andare al nocciolo dell’umanità: la dimensione etica dell’uomo è qui sollecitata allo spasimo, e si vede in molti modi: nell’orrore di uccidere un altro; nel terrore che si prova per la propria possibile morte, che è il tema in assoluto più rilevante del film, con tutta la devastazione psicologica che ne consegue.

I morti vengono mostrati in quei precisi e pochi secondi in cui stanno passando dalla vita alla morte, appunto: vengono espresse le loro parole, ma anche i loro pensieri, con uno scavo psicologico ineccepibile.

Il senso di precarietà esistenziale della guerra è reso non meno bene che in Ungaretti, ad esempio: la propria vita viene vista dipendere da errori umani, assurdi, di semplice strategia che usa gli uomini come strumenti sacrificabili dal capo (alla Hegel), o dal caso, ma sempre senza che vi siano reali motivi per rendere giustificabile quel tipo di morte. Ciò che si perde, con la morte, viene valorizzato alla luce del ricordo di ciò per cui valeva la pena vivere, che lì, in quel pericolo estremo, assume la propria importanza piena.

Per fortuna non c’è retorica: gli eroi sono tali solo se vedono gli errori e gli orrori della guerra,e si impegnano per limitarne la portata, per sé e per gli altri. L’individualismo qui fa una brutta fine: la consapevolezza del comune pericolo rende qui gli uomini solidali, in modo serio però, non come in tante penose raffigurazioni.

La disobbedienza viene valorizzata, quando la decisione cui obbedire va contro gli aspetti qualificanti dell’umanità. Quindi l’autorità fa anch’essa una cattiva figura: si basa solo sull’ambizione personale, e quindi viene giustamente messa in cattiva luce. Certo, si mostrano anche esempi positivi, lasciando sottendere che questi ultimi avrebbero il diritto di esercitare un’autorità, dato che rappresentano il meglio; ma si lascia altresì sottendere che tale autorità non può passare mai attraverso una guerra, per quanto quest’ultima è profondamente disumanizzante.

Il cuore del film sta però nelle domande di fondo, così care a questo eccelso filosofo-regista che è riconosciuto Malick. La natura ritratta è stupenda: eppure permette ogni orrore. Chi tiene i fili della natura, il supposto dio della tradizione del creazionismo e quindi della provvidenza, come può permettere scempi di questo tipo? Il non senso, l’assenza del riconoscimento pubblico del merito umano, è stato troppo tastato nei fatti, per potersi parlare di un dio creatore che ordina tutto per il melgio delle creature. Con buona pace di Tommaso, comunque il film lascia aperta la porta al ruolo del divino, così come in molti ha agito: il ruolo di chi è l’unico che può dare un senso pieno a una vita che altrimenti è assurda. Ma, nel contesto bellico e non solo, non è certo questo il dio della creazione e della provvidenza a essere credibile, quello che reggerebbe ogni aspetto, anche minimo, dell’universo tutto.

La beffa più atroce, poi, e per assurdo, è forse quella del soldato che scrive lettere alla moglie, di cui è devotamente innamorato, e che si vede rispondere una richiesta di divorzio: la distanza era troppo dura da sopportare per la moglie, che per farsene consolare ha trovato un altro amante. Figurarsi cos’era quella distanza per un soldato che non poteva fare altro che quello che doveva fare, terribile e pericolosissimo.

Gli abissi del dolore umano sono scandagliati in modo serio: non è un’opera popolare. Ben venga, se mai arriverà, il momento in cui almeno la maggioranza della popolazione sia capace di apprezzare appieno opere d’arte come questa: ciò implicherebbe un approccio alla realtà critico, e una ricerca della felicità in modo autentico e serio, lontano dalle vie facili della diseducazione perpetrata sempre dalle classi dirigenti, religiose o politiche che siano.

I primitivi delle Isole Salomone sono messi meglio, così come appaiono nel film: non sono falsi, e sono meno cattivi e tristi. Chissà se è vero questo, sui primitivi: molti testimoni l’hanno confermato, molti altri l’hanno smentito. Comune sia, la critica alla società progredita che vi passa appare ben legittima.

Tecnicamente è un film splendido, anche se talvolta un po’ compiaciuto, e poco “sistematico” in ciò che vuol dire. Ma la colonna sonora, la recitazione e soprattutto messaggio e fotografia permettono ampiamente questa licenza poetica.

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