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La sottile linea rossa

Regia di Terrence Malick vedi scheda film

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La recensione su La sottile linea rossa

di francescorossini
9 stelle

Film epico e spirituale al contempo, bellico e filosofico, denso di riflessioni e di violenza. Diretto da Terence Malick, La sottile linea rossa esce nel 1998 e nel 1999 conquista l’Orso d’oro al festival internazionale del cinema di Berlino; riceve sette candidature per il Premio Oscar senza, tuttavia, aggiudicarsi nessuna statuetta.

            Il film, tratto dall’omonimo romanzo di James Jones, narra le vicende di una compagnia di soldati statunitensi impegnati nella conquista dell’isola di Guadalcanal nel 1942, durante la Seconda Guerra Mondiale. È stato girato in gran parte nei luoghi originali del racconto, l’Australia e le Isole Salomone. La compagnia di fucilieri Charlie di un reparto dell’esercito statunitense viene mandata alla conquista di un campo d’aviazione giapponese posto in cima a una collina dell’isola. Il gruppo di militari è guidato dal mite capitano Staros (Koteas), avvocato di origini greche (come ci ricorda il colonnello Tall che, parlandogli attraverso un telefono da campo e osservando il sorgere del sole sul campo di battaglia, cita Omero: Eos rotodoctulos, “l’alba dalle dita rosate”)agli ordini dell’ambizioso colonnello Tall (Nolte): durante il lungo assalto alla collina si consumeranno le vicende e i tormenti interiori di un gruppo di uomini costretti a confrontarsi con i propri doveri e la follia della guerra, mentre la natura, lussureggiante e indifferente, sembra cullarli e contrapporsi alla loro logica. Tra le varie vicende si possono sottolineare: quella del soldato Witt (Caviezel), che prima diserta e si rifugia tra gli indigeni melanesiani, poi ritorna nella compagnia e si sacrifica per i compagni instillando più di un dubbio nel cinico sergente Welsh (Penn), suo diretto superiore;quella del soldato Bell (Chaplin), che non sopporta la forzata lontananza dalla moglie (Otto) dalla quale alla fine verrà lasciato tramite una lettera che gli annuncia il divorzio;lo scontro tra il colonnello Tall e il capitano Staros, che rifiuta di mandare i suoi uomini in una missione suicida e che per questo verrà sollevato dall’incarico e sostituito dal tenente Band.

            Lungo quasi tre ore, il film presenta un numero impressionante di star inserite nel cast, che accettarono parti minori pur di comparire qualche minuto: Sean Penn, Nick Nolte, George Clooney, John Cusack, James Caviezel, Adrien Brody, Simon Billig, Ben Chaplin, Paul Gleeson, Woody Harrelson, Jared Leto, Tim Blake Nelson, Miranda Otto, Elias Koteas, John Travolta, John C. Reilly, Larry Romano, Nick Stahl, John Dee Smith, Stephen Spacek, Arie Vereen, Kirk Acevedo, Steven Vidler, soltanto per citarne alcune. Il montaggio originale durava oltre sei ore, ridotte poi a circa la metà nelle ultime fasi della post-produzione: numerosi i ruoli tagliati, tra i quali quelli di Mickey Rourke, Bill Pullman, Viggo Mortensen, Gary Oldman e Martin Sheen; mentre Adrien Brody, che avrebbe dovuto essere tra i protagonisti della pellicola, ha scoperto solo alla prima del film che il suo ruolo era stato drasticamente ridimensionato. Edward Norton era stato scelto per interpretare il soldato Witt, ma rifiutò a causa della morte della madre, avvenuta due mesi prima, e il ruolo è stato preso da Jim Caviezel.

            Un film bellico senz’altro, eppure atipico. La battaglia di Guadalcanal nella quale le truppe americane sconfissero quelle dell’Impero Giapponese rappresenta, con altre due fondamentali battaglie del 1942 (El Alamein in cui gli inglesi guidati da Montgomery sconfissero sul fronte africano i tedeschi guidati dalla “volpe del deserto” Rommel e Stalingrado in cui dopo un terribile assedio le truppe russe e gli abitanti della città, aiutati dal “generale inverno”, sbaragliarono la compagine tedesca), il punto di svolta della Seconda Guerra Mondiale. Se nel 1941 l’Asse Roma-Berlino-Tokio appariva sull’orlo della vittoria, dopo questi tre avvenimenti le sorti del conflitto si ribaltarono e innescarono la serie di eventi che avrebbe portato alla vittoria degli alleati nel 1945. Eppure per i primi quaranta minuti del film non si spara un colpo, cosa strana per un film di guerra. Nonostante ci si trovi nella storia, non è la storia ad essere protagonista. E nemmeno esiste un vero protagonista tra i personaggi: si tratta di un film corale, densissimo di personaggi, nessuno dei quali “prevale” narrativamente sugli altri. La vera protagonista del film è la riflessione intorno alla guerra: la sua insensatezza, il mistero intorno all’origine dell’odio e del male.

            Il punto focale è il seguente: l’uomo potrebbe vivere serenamente, possedere il proprio paradiso e invece utilizza le sue forze per distruggerlo e generare l’inferno; l’esempio più paradigmatico di questa distruzione è appunto la guerra. Il paradiso assume diverse forme più o meno simboliche:

  1. Innanzitutto una dimensione spirituale e metafisica che attraversa tutta la pellicola: una voce fuori campo – forse la voce della natura, forse la voce interiore dei soldati, forse una voce totalmente esterna – si fa portatrice delle riflessioni che rimandano alle grandi domande di senso, che emergono proprio di fronte all’odio incontrollato della guerra: “Questo grande male, da dove viene? Come ha fatto a contaminare il mondo? Da quale seme, da quale radice si è sviluppato? Chi è l’artefice di tutto questo, chi ci sta uccidendo, chi ci sta derubando della vita e della luce prendendosi beffa di noi, mostrandoci quello che avremmo potuto conoscere? La nostra rovina è di sollievo alla terra? Aiuta l’erba a crescere, il sole a splendere? Questa ombra oscura anche te? Tu hai mai attraversato questo buio?”; “Chi sei tu per vivere sotto tutte queste forme? Tua è la morte che cattura tutto; tua è anche la fonte di tutto ciò che nascerà. Tua la gloria, tua la pietà, la pace, la verità. Tu dai riposo allo spirito, comprensione, coraggio. Il cuore rassereni, oh Signore”. “Chi ci sta derubando della vita e della luce”: è la luce infatti a rappresentare simbolicamente questa dimensione pura e paradisiaca, la dimensione della vita in opposizione alla morte del campo di battaglia: la luce dei fiammiferi che il soldato Witt accende nel buio della prigione, la luce della candela che illumina le preghiere del capitano Staros la notte prima della battaglia, la luce dell’ “alba dalle dita rosate” sul paesaggio lussureggiante.

  2. La natura stessa, l’incontaminato paesaggio delle Isole Salomone, è simbolo di questa dimensione paradisiaca che si oppone alla guerra. I primi minuti del film rappresentano il soldato Witt che, dopo aver disertato, si è rifugiato presso una comunità di indigeni malesi: i bambini nuotano liberi nel mare, vengono intrecciate foglie di banano per costruire ripari, si danza; gli uomini vivono in totale armonia con il mondo e con la natura. Siamo di fronte ad un Eden di rousseauiana memoria, non ancora violato dal male, dal peccato, nel quale Witt si è rifugiato fuggendo dall’inferno delle armi. Eppure il peccato penetrerà anche qui, la guerra entra nella natura e la sconvolge. Nella parte finale del film il soldato tornerà nello stesso villaggio: i bambini denutriti sono aggrediti dagli insetti, litigi sconvolgono la comunità, i sorrisi sui volti degli indigeni lasciano il posto ad espressioni di tristezza: la guerra ha compiuto la sua devastazione.

  3. L’amore. Anche l’amore terreno tra le persone, per una donna è una dimensione paradisiaca apposta alla guerra. L’amore dei tempi di pace, durante i quali si può pensare al futuro, alla costruzione di una famiglia. Tutta la narrazione si intreccia a continui flashback che ricordano la vita del soldato Bell prima della partenza militare: una vita di armonica unione con la moglie dalla quale sogna di ritornare. Eppure anche qui giunge l’azione distruttrice della guerra: dapprima la rottura dell’idillio con la chiamata alle armi, quindi il divorzio annunciato da una lettera della moglie a Bell dopo la conquista della collina di Guadalcanal.

                Di fronte a tutto questo gli uomini si comportano in modi differenti: l’esercito diventa la rappresentazione dell’umanità nelle sue diverse sfaccettature. C’è chi, come il colonnello Tall, desidera la guerra per carrierismo: un’azione militare di successo gli può procurare un avanzamento di grado e di carriera. “Mi sono spaccato la schiena, ho leccato il culo ai generali, mi sono genuflesso, per loro la mia famiglia, per la mia casa, tutti i sacrifici che i miei genitori hanno fatto per me sono svaniti come acqua nel terreno, tutto quello che avrei potuto dare per amore, troppo tardi, è morto lentamente come un albero”: ora è pronto a sacrificare la vita dei suoi giovani soldati pur di ottenere ciò che per tutta la vita ha atteso. C’è chi dalla guerra è stato inaridito, come il sergente Welsh. È significativo il dialogo che intrattiene, dopo la lunghissima e cruenta battaglia, con Witt in cui rivela: “Viviamo in un mondo che si sta spostando verso l’inferno il più velocemente possibile. In una situazione come questa un uomo può solo chiudere gli occhi e non lasciarsi toccare da nulla”. La guerra inaridisce, rende insensibili, freddi, incapaci di qualunque umanità e sentimento. La guerra non uccide solo i corpi, uccide lo spirito. Ma ci sono anche modelli positivi. Innanzitutto il capitano Staros che in preghiera la notte prima della battaglia chiede: “Oh Dio, fa che non tradisca i miei uomini”. E le sue preghiere saranno ascoltate: si rifiuterà di sacrificare inutilmente le vite dei soldati, da lui considerati “come figli”, fino a disobbedire ad un preciso ordine del colonnello Tall pronto, invece, a sacrificare vite umane in un dissennato attacco frontale pur di ottenere la vittoria. Da un lato la disumanizzazione della guerra (Tall) che porta alla perdita di valore della vita umana, dall’altro l’umanità (Staros) che la considera il bene supremo. Anche il soldato Witt conserva umanità nel proprio animo, e conserva la speranza. Lui ha visto il paradiso, lo ha vissuto, all’inizio del film, nell’edenico villaggio malese e non lo può dimenticare. In un dialogo con il suo sergente così si esprime: Sergente Edward Welsh: “In questo mondo un uomo da solo non è niente. E non esiste un altro mondo, al di fuori di questo”. Soldato Witt: “È qui che sbaglia, capo. Io l’ho visto un altro mondo. A volte penso solo di averlo immaginato”. Sergente Edward Welsh: “Be’, allora hai visto cose che non vedrò mai”. Witt sa che il paradiso esiste e che, dopo la guerra, vi potrà ritornare. Ma la guerra ancora una volta non lascia scampo: i due modelli di umanità e speranza vengono spazzati via: Witt viene ucciso durante un’imboscata giapponese, Staros è sollevato dal suo incarico.

            Il pessimismo di Malick è profondo: le speranze e l’amore nulla possono contro il male distruttore delle armi che tutto annienta e tutto cancella. L’uomo, preda del suo odio, distrugge il bene, nelle sue diverse forme, all’interno del quale potrebbe vivere serenamente, e lo fa attraverso la follia della guerra. Questo è il messaggio antimilitarista lanciato da Malick. Eppure è su questo equilibrio che si gioca tutto il racconto: l’equilibrio tra speranza e disperazione, tra fede e crudeltà, tra odio e amore; un equilibrio precario e dai confini incerti. “Tra la lucidità e la follia c’è solo una sottile linea rossa” scriveva Rudyard Kipling nel verso che dà il titolo alla pellicola.

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