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Dies irae

Regia di Carl Theodor Dreyer vedi scheda film

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La recensione su Dies irae

di scandoniano
7 stelle

Tipico film di Dreyer, nonostante il regista provi a spostare l’attenzione su tematiche sociali e contemporanee (il film è girato durante la seconda guerra mondiale, in una Danimarca invasa), rimangono evidenti i primi piani dell’epoca del muto e lo stile minimalista soprattutto nelle scenografie.

Dreyer imbastisce con l’usuale rigore iconografico e scenico un dramma intriso di profondo spiritualismo dietro cui si cela la problematica esistenziale di una famiglia atipica: nella Danimarca del 1600, in piena caccia alle streghe, Absalon, pastore protestante, è sposato con Anne, molto più giovane di lui, figlia di una donna accusata di stregoneria ma assolta proprio dal pastore. L’uomo ha un figlio, Martin, giovane e prestante, che torna a casa destabilizzando i già fragili equilibri.

Dietro la scelta di girare quasi tutto in interni, Dreyer nasconde il senso di oppressione, dichiaratamente per il difficile periodo storico in cui il film è ambientato, ricco di restrizioni e limitazioni di ordine anche gerarchico, ma metaforicamente il riferimento è probabilmente alla Seconda Guerra Mondiale, durante la quale il film viene girato.

Sul piano stilistico, “Dies Irae” segna una svolta rispetto all’inizio della carriera del regista danese, specie nella fase del muto: qui più che all’emblematico indugiare sui primi piani dei protagonisti, Dreyer predilige una claustrofobia dei rapporti e la stagnazione sociale. Il pensiero del regista è piuttosto forte su due temi fondamentali, quelli del peccato (che va espiato altrimenti il destino lo farà ricadere sugli eredi) e quello dell’insensibilità umana rispetto al dolore del cosiddetto prossimo.

Film di difficile fruibilità, come tutti quelli del maestro danese, per i ritmi più che letargici ed i continui richiami all’ambito religioso che non ne agevolano la visione.

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