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Sussurri e grida

Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film

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La recensione su Sussurri e grida

di Vocativo
8 stelle

Il tiepido sole mattutino ristora il verde del giardino antistante ad una grande villa. E' solo per il giardino che risplende. Il risveglio che ne sussegue ha il sapore di una lenta agonia, prima celata, poi inesorabilmente ed inevitabilmente visibile. La malattia traspare su di un volto rischiarato da quegli stessi raggi di luce. Il suo verdetto non lascia dubbi. Le grida sono il supplizio cui lo spettatore inerme è sottoposto, i sussurri i suoi sinistri risvolti nel passato (vero o ricostruito?) delle 4 donne che abitano la casa. L'angoscia è tangibile fin dalle prime inquadrature degli interni: la fotografia, seppure più densa e realistica rispetto ad altre pellicole più o meno contemporanee del maestro svedese, è comunque gelida e nemmeno la costante presenza del rosso riesce a contraddirla. Il film è un'attesa di morte che consente alle 3 sorelle e alla governante, ad una ad una, di ripensare al proprio passato e magari ricostruirlo alla luce del presente. Così si delineano come scolpiti nella pietra i tratti dei personaggi, la loro aspirazione amorosa (Liv Ullman) o il represso istinto sessuale nonché l'incapacità di amare (Ingrid Thulin), le aspirazioni materne della governante (dopo la morte dell'unica figlioletta) e la regressione infantile della sorella malata. La morte non si fa attendere e diviene orrendamente tangibile nell'immaginazione morbosa della governante, la quale aspira ad un fisico, materno, ricongiungimento con la padrona ormai deceduta: pietà non già michelangiolesca, ma dal vivissimo espressionismo realistico come in quadro di Caravaggio. Insopportabile nel già tumefatto corpo che si ridesta (vago sapore dreyeriano, ma senza speranza e prospettiva religiosa). La morte di una sorella non basta a ricongiungere le altre due, troppo diverse per potersi amare e terribilmente invertite nei ruoli dopo il lutto subìto. La finale lettura del diario non vuole essere consolatorio, né un ammonimento ad accontentarsi della poca felicità concessa sulla terra, ma uno sguardo lucido sull'insensibile decadere del mondo.
Il film con le continue dissolvenze in rosso (il colore è un simbolo chiaro di legami, di sangue e non, di un'unità quasi prenatale all'interno di una casa-amnio) , introduzioni alle 4 proiezioni delle 4 protagoniste, è congegnato esemplarmente, con uno stile ed una perizia formale impeccabile, che quasi stona con l'angoscia riversata in esso. Da vedersi in pieno inverno, a luci spente. Ad ogni modo sembra essere uno dei vertici del cinema di Bergman.

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