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Il buco

Regia di Jacques Becker vedi scheda film

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Govinda

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il buco

di Govinda
10 stelle

Un film asciutto e compatto che trasla le dinamiche politiche, sociali e familiari in un contesto carcerario. Lo fa senza fronzoli, senza distrazioni, rinunciando alla potenza suggestiva della musica ed alle stratificazioni di un'analisi psicologica.
La costruzione del film è lineare, come lineare è il piano di fuga dei carcerati, semplicemente abbattere tutto ciò che di solido si frappone tra loro e la libertà, che siano pavimenti di cemento, porte di legno, sbarre di ferro o muri di sassi.
Immagini coraggiose, di un cinema lucido e diretto che non esiste più, quelle che riprendono minuziosamente i passaggi cruciali per la fuga, su tutte lo sfondamento del pavimento della cella (quasi cinque minuti ininterrotti di martellamento), lo scavo del tunnel (potremmo contare i massi asportati durante la sua creazione) e l’esterno della prigione vista dal tombino (si può percepire la freschezza dell’aria mattutina dopo tanto scavare nel buio della terra).
Tale e tanta è la devastazione degli ostacoli alla fuga, tanta è l'attenzione e il rispetto che i galeotti hanno tra loro nel prendere le decisioni e nel dividersi i compiti. Atteggiamento che riflette un messaggio: l'etica della fedeltà ad una causa comune, sopra gli interessi particolari.
La fuga è un progetto condiviso tra gli originari occupanti della cella (Manu, Roland, Geo, Vasselin) della cui vita non sappiamo (e non sapremo) quasi nulla, cui si aggiunge, il debole Gaspard invischiato in fatti “sentimentali”.
Pur conservando qualche perplessità sul conto del nuovo arrivato, i quattro decidono di fidarsi. La contrapposizione tra la virile e genuina solidarietà dei primi e la melliflua personalità di quest’ultimo, complice la crescente tensione per la fuga, sviluppa un sottile gioco di gesti e sguardi che sfocia a tratti in alterchi ai limiti della violenza.
Capo indiscusso della spedizione è Roland Barbat alias Jean Keraudy alias Roland Darbant, cioè Roland Barbat, in arte Jean Keraudy, che interpreta se stesso e nel film il suo nome diventa Roland Darbant.
Guida silenziosa e potente, mi piace citare dall’opinione dell’utente Mathiasparrow: “un leggendario Dio dell’evasione”. La sua mano atrofica (anche se non è un uncino) mi fa venire in mente un passaggio di Saramago: “Con quella mano e quell'uncino puoi fare tutto quanto vuoi, e ci sono cose che un uncino fa meglio di una mano intera, un uncino non sente dolore se deve fissare un filo e un ferro, non si taglia, né si brucia, e io ti dico che Dio è monco, e ha fatto l'universo.”, in termini molto più profani è una specie di MacGyver ante litteram.
Più si avvicina l’uscita, più cresce il nervosismo, più affiorano segni dell’ineluttabilità di un destino infame e l’ultima notte sembra interminabile.
Grandissima anche l’immagine del colpo di scena finale quando controllando il corridoio dallo spioncino della cella con un artigianale periscopio, improvvisamente lì dove un attimo prima non c’era nessuno, compaiono in formazione d’assalto decine di guardie! Si salta dalla poltrona!
Gaspard incapace di cogliere l’occasione di tradire se stesso e il suo cedevole carattere, tradirà i compagni.
Loro pagheranno i debiti con la legge (salvo altri tentativi di fuga in futuro) mentre lui non avrà altre possibilità di redenzione.
 
Grande film, ottima resa di un romanzo di José Giovanni (che ha collaborato anche al film), forte la componente noir. I personaggi non sono solo buoni o solo cattivi e per loro il destino sembra conservare sempre una inevitabile delusione.
Vicini per questa sorte ineluttabile ai protagonisti di “Giungla d’asfalto” di John Huston, per lo stretto senso dell’amicizia a “Grisbì” dello stesso Becker, scomodato invece spesso inopportunamente “Un condannato a morte è fuggito” di Bresson, differente per contenuto e lontano per spessore, eccetto forse quella sviluppata capacità manuale di Roland (ma qui è sommaria lì è precisa) e l’insistenza con cui Becker inquadra le sue mani a lavoro.

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